Chremete: Tu hai, o Simone, assai conosciuta l'amicitia mia verso di te; io ho corsi assai periculi: fa' fine [1] di pregarmi. Mentre che io pensavo di compiacerti, io sono stato per affogare questa mia figluola.
Simo: Anzi, hora ti priego io et suplico, o Chremete, che appruovi coi facti questo benefitio cominciato con le parole.
Chremete: Guarda quanto tu sia, per questo tuo desiderio, ingiusto! Et pure che tu faccia quello desideri [2] , non observi alcuno termine di benignit n pensi quello che tu prieghi: che se tu lo pensassi, tu cesseresti di agravarmi con queste ingiurie. [3]
Simo: Con quali?
Chremete: Ha! domandine tu? Non mi hai tu forzato che io dia per donna una mia figluola ad uno giovane occupato nello amore d'altri et alieno al tucto dal trre mogle? Et hai voluto con lo affanno et dolore della mia figluola medicare il tuo figluolo. Io volli, quando egli era bene; hora non bene; habbi patienza. Costoro dicono che colei cittadina atheniese et ne ha hauto uno figluolo: lascia stare noi.
Simo: Io ti priego, per lo amore di Dio, che tu non creda a costoro: tutte queste cose sono finte et trovate per amore di queste noze. Come fia tolta la cagione per che fanno queste cose, e' non ci fia pi standolo alcuno.
Chremete: Tu erri: io vidi una fantesca et Davo, che si dicevano villania.
Simo: Io lo so.
Chremete: Et da dovero, perch nessuno sapeva che io fussi presente.
Simo: Io lo credo; et un pezo che Davo mi dixe che volevono fare questo, et hoggi te lo volli dire, et dimentica'melo.
Davo: Hora voglo io stare con l'animo riposato...
Chremete: Ecco Davo a te.
Simo: Onde esce egli?
Davo: ...parte per mia cagione, parte per cagione di questo forestiero.
Simo: Che ribalderia questa?
Davo: Io non vidi mai huomo venuto pi a tempo di questo.
Simo: Chi loda questo scelerato?
Davo: Ogni cosa a buon porto.
Simo: Tardo io di parlargli?
Davo: Egli il padrone: che far io?
Simo: Dio ti salvi, huom da bene!
Davo: O Simone, o Chremete nostro, ogni cosa ad ordine.
Simo: Tu hai facto bene.
Davo: Manda per lei a tua posta.
Simo: Bene veramente! e' ci mancava questo! Ma rispondimi: che faccenda havevi tu quivi?
Davo: Io?
Simo: S.
Davo: Di' tu a me?
Simo: A te dich'io.
Davo: Io vi entrai hora...
Simo: Come s'io domandassi quanto ch'e' vi entr!
Davo: ...col tuo figluolo.
Simo: Ho! Pamphilo dentro?
Davo: Io sono in su la fune. [4]
Simo: Ho! non dicesti tu ch'egli havieno quistione insieme?
Davo: Et hanno.
Simo: Come egli cos in casa?
Chremete: Che pensi tu che faccino? E' si azuffano.
Davo: Anzi, voglo, o Cremete, che tu intenda da me una cosa indegna: egli venuto hora uno certo vechio, che pare huom cauto et di buona presenza, con uno volto grave da prestargli fede.
Simo: Che di' tu di nuovo?
Davo: Niente veramente, se non quello che io ho sentito dire da lui: che costei cittadina atheniese.
Simo: O! Dromo! Dromo!
Davo: Che cosa ?
Simo: Dromo!
Davo: Odi un poco.
Simo: Se tu mi di' pi una parola... Dromo!
Davo: Odi, io te ne priego.
Dromo: Che vuoi?
Simo: Porta costui di peso in casa.
Dromo: Chi?
Simo: Davo.
Dromo: Perch?
Simo: Perch mi piace: portalo via!
Davo: Che ho io facto?
Simo: Portalo via!
Davo: Se tu truovi che io ti abbia dette le bugie, ammazami.
Simo: Io non ti odo. Io ti far diventare dextro. [5]
Davo: Egli pure vero.
Simo: Tu lo legherai et guardera'lo. Odi qua, mettigli un paio [6] di ferri: fallo hora et, se io vivo, io ti mosterr, Davo, innanzi che sia sera, quello che importa, ad te ingannare il padrone, et a colui il padre.
Chremete: Ha! non essere s crudele.
Simo: O Chremete, non ti incresce egli di me per la ribalderia di costui, che ho tanto dispiacere per questo figluolo? Ors, Pamphilo! Esci, Pamphilo! Di che ti vergogni tu?
Pamphilo: Chi mi vuole? Oim! egli mio padre.
Simo: Che di' tu, ribaldo?
Chremete: Digli come sta la cosa, sanza villania.
Simo: E' non se gli pu dire cosa che non meriti. (a Pamphilo) Dimmi un poco: Glicerio cittadina?
Pamphilo: Cos dicono.
Simo: O gran confidenza! Forze che pensa quel che risponde? Forse che si vergogna di quel ch'egli ha facto? Guardalo in viso, e' non vi si vede alcuno segno di vergogna. egli possibile che sia di s corrotto animo, che vogla costei fuora delle leggi et del costume de' cittadini, con tanto obbrobrio?
Pamphilo: Misero a me!
Simo: Tu te ne se' aveduto hora? Cotesta parola dovevi tu dire gi quando tu inducesti l'animo tuo a fare in qualunque modo quello che ti aggradava: pure alla fine ti venuto detto quello che tu se'. Ma perch mi macero et perch mi crucio io? Perch affiggo io la mia vechiaia per la pazia di costui? Voglo io portare le pene de' peccati suoi? Habbisela, tengasela, viva con quella!
Pamphilo: O padre mio!
Simo: Che padre! Come che [7] tu habbi bisogno di padre, che hai trovato, a dispetto di tuo padre, casa, mogie, figluoli et chi dice ch'ella cittadina atheniese. Habbi nome Vinciguerra.
Pamphilo: Possoti io dire dua parole, padre?
Simo: Che mi dirai tu?
Chremete: Lascialo dire.
Simo: Io lo lascio: dica!
Pamphilo: Io confesso che io amo costei et, s'egli male, io confesso fare male, et mi ti getto, o padre, nelle braccia; imponimi che carico tu vuoi: se tu vuoi che io meni mogle et lasci costei, io lo sopporter il meglo che io potr. Solo ti priego di questo, che tu non creda che io ci habbi facto venire questo vechio, et sia contento ch'io mi iustifichi et che io lo meni qui alla tua presenza.
Simo: Che tu lo meni?
Pamphilo: Sia contento, padre.
Chremete: Ei domanda il giusto: contentalo.
Pamphilo: Compiacimi di questo.
Simo: Io sono contento, pure che io non mi truovi ingannato da costui. (Pamphilo esce)
Chremete: Per uno gran peccato ogni poco di suplicio [8] basta ad uno padre.
Crito: (a Pamphilo) Non mi pregare; una [9] di queste cagioni basta a farmi fare ci che tu vuoi: tu, il vero et il bene che voglo a Glicerio.
Chremete: Io veggo Critone Andrio? Certo egli desso.
Crito: Dio ti salvi, Cremete!
Chremete: Che fai tu cos hoggi, fuora di tua consuetudine, in Athene?
Crito: Io ci sono a caso. Ma questo Simone?
Chremete: Questo .
Simo: Domandi tu me? Dimmi un poco: di' tu che Glicerio cittadina?
Crito: Neghilo tu?
Simo: Se' tu cos qua venuto preparato? [10]
Crito: Perch?
Simo: Domandine tu? Credi tu fare queste cose sanza esserne gastigato? Vieni tu qui ad ingannare i giovanetti imprudenti et bene allevati et andare con promesse pascendo l'animo loro?
Crito: Se' tu in te?
Simo: Et vai raccozando insieme amori di meretrici et noze?
Pamphilo: (a parte) Heim! io ho paura che questo forestiero non si pisci sotto. [11]
Chremete: Se tu conoscessi costui, o Simone, tu non penseresti cotesto; costui uno buono huomo.
Simo: Sia buono a suo modo: debbesegli credere ch'egli appunto venuto hoggi nel d delle noze et non venuto prima mai?
Pamphilo: (a parte) Se io non havessi paura di mio padre, io gl'insegnerei la risposta.
Simo: Spione!
Crito: Heim!
Chremete: Cos fatto costui, Crito; lascia ire.
Crito: Sia facto come e' vuole: sguita di dirmi ci che vuole, egli udir ci che non vuole; io non prezo et non curo coteste cose, imper che si pu intendere se quelle cose che io ho dette sono false o vere, perch uno atheniese, per lo adrieto, havendo rotto la sua nave, rimase con una sua figloletta in casa il padre di Crisyde, povero et mendico.
Simo: Egli ha ordito una favola da capo. [12]
Chremete: Lascialo dire.
Crito: Impediscemi egli cos?
Chremete: Sguita.
Crito: Colui che lo ricevette era mio parente; quivi io udi' dire da lui come egli era cittadino atheniese; et quivi si mor.
Chremete: Come haveva egli nome?
Crito: Ch'io ti dica il nome s presto? Phania.
Chremete: O! Hu!
Crito: Veramente io credo ch'egli havessi nome Phania: ma io so questo certo, ch'e' si faceva chiamare Ramnusio. [13]
Chremete: O Giove!
Crito: Queste medesime cose, o Cremete, sono state udite da molti altri in Andro.
Chremete: (a parte) Dio vogla che sia quello che io credo! (A Crito) Dimmi urn poco: diceva egli che quella fanciulla fussi sua?
Crito: No.
Chremete: Di chi dunque?
Crito: Figluola del fratello.
Chremete: Certo, ella mia.
Crito: Che di' tu?
Simo: Che di' tu?
Pamphilo: (a parte) Riza gli orechi, Pamphilo!
Simo: Che credi tu?
Chremete: Quel Fania fu mio fratello.
Simo: Io lo conobbi et sllo.
Chremete: Costui, fuggendo la guerra mi venne in Asia drieto, et, dubitando di lasciare qui la mia figluola, la men seco; dipoi non ne ho mai inteso nulla, sed non hora.
Pamphilo: L'animo mio s alterato che io non sono in me per la speranza, per il timore, per la allegreza, veggendo uno bene s repentino.
Simo: Io mi rallegro in molti modi che questa tua si sia ritrovata.
Pamphilo: Io lo credo, padre.
Simo: Ma e' mi resta uno scrupolo che mi fa stare di mala vogla.
Pamphilo: Tu meriti di essere odiato con questa tua religione. [14]
Crito: Tu cerchi cinque pi al montone!
Chremete: Che cosa ?
Simo: Il nome non mi riscontra.
Crito: Veramente da piccola la si chiam altrimenti.
Chremete: Come, Crito? Ricorditene tu?
Crito: Io ne cerco.
Pamphilo: (a parte) Patir io che la smemorataggine di costui mi nuoca, potendo io per me medesimo giovarmi? O Cremete, che cerchi tu? La si chiamava Passibula.
Crito: La epsa!
Chremete: La quella!
Pamphilo: Io glene ho sentito dire mille volte.
Simo: Io credo che tu, o Cremete, creda che noi siamo tutti allegri.
Chremete: Cos mi aiuti Idio, come io lo credo.
Pamphilo: Che manca, o padre?
Simo: Gi questa cosa mi ha facto ritornare nella tua gratia.
Pamphilo: O piacevole padre! Cremete vuole che la sia mia mogle, come la !
Chremete: Tu di' bene, se gi tuo padre non vuole altro.
Pamphilo: Certamente.
Simo: Cotesto.
Chremete: La dota di Pamphilo voglo che sia dieci talenti.
Pamphilo: Io l'accepto.
Chremete: Io vo a trovare la figluola. O Crito mio, vieni meco, perch io non credo che la mi riconosca.
Simo: Perch non la fai tu venire qua?
Pamphilo: Tu di' bene: io commetter a Davo questa faccenda.
Simo: Ei non pu.
Pamphilo: Perch non pu?
Simo: Egli ha uno male di pi importanza.
Pamphilo: Che cosa ha?
Simo: Egli legato.
Pamphilo: O padre, ei non legato a ragione.
Simo: Io volli cos.
Pamphilo: Io ti priego che tu faccia che sia sciolto.
Simo: Che si sciolga!
Pamphilo: Fa' presto!
Simo: Io vo in casa.
Pamphilo: O allegro et felice questo d!
Carino: Io torno a vedere quel che fa Pamphilo... Ma eccolo!
Pamphilo: Alcuno forse penser che io pensi che questo non sia vero, ma e' mi pare [15] pure che sia vero. Per credo io che la vita degli Iddei sia sempiterna, perch i piaceri loro non sono mai loro tolti: perch io sarei, sanza dubio, immortale, se cosa alcuna non sturbassi questa mia allegreza. Ma chi vorrei sopra ogni altro riscontrare [16] per narrargli questo?
Carino: Che allegreza questa di costui?
Pamphilo: Io veggo Davo; non alcuno che io desideri vedere pi di lui, perch io so che solo costui si ha a rallegrare da dovero della allegreza mia.
Davo: (cercando attorno) Pamphilo dove ?
Pamphilo: O Davo!
Davo: Chi ?
Pamphilo: Io Sono.
Davo: O Pamphilo!
Pamphilo: Ha! tu non sai quello mi accaduto.
Davo: Veramente no: ma io so bene quello che accaduto a me.
Pamphilo: Io lo so anch'io.
Davo: Egli usanza degli huomini che tu habbi prima saputo il male mio che io il tuo bene.
Pamphilo: La mia Glicerio ha ritrovato suo padre.
Davo: O! la va bene.
Carino: (a parte) Hem?
Pamphilo: Il padre grande amico nostro.
Davo: Chi?
Pamphilo: Cremete.
Davo: Di' tu il vero?
Pamphilo: N ci pi dificult di haverla io per donna.
Carino: (a parte) Sogna costui quelle cose ch'egli ha vegghiando volute?
Pamphilo: Ma del fanciullo, o Davo?
Davo: Ha! sta' saldo: tu se' solo amato dagl'Idii.
Carino: (a parte) Io sono franco, [17] se costui dice il vero. Io gli voglo parlare.
Pamphilo: Chi questo? O Carino! Tu ci se' arrivato a tempo.
Carino: O! la va bene.
Pamphilo: O! hai tu udito?
Carino: Ogni cosa. Hor fa' di ricordarti di me in queste tua prosperit. Cremete hora tutto tuo, et so che far quello che tu vorrai.
Pamphilo: Io lo so; et perch sarebbe troppo aspettare ch'egli uscissi fuora, sguitami, perch'egli in casa con Glicerio. Tu, Davo, vanne in casa et sbito manda qua chi la meni via. Perch stai? perch non vai?
Davo: (al pubblico) O voi, non aspectate che costoro eschino fuora. Drento si sposer et drento si far ogni altra cosa che manchassi. Andate, al nome di Dio, et godete!
Note
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[1] fa' fine: smetti.
[2] Et ... desideri: pur di ottenere quello che desideri.
[3] di ... ingiurie: di farmi dei torti in continuazione.
[4] Io ... fune: allude al tormento della corda, cui lo stesso Segretario fiorentino fu sottoposto nel febbraio del 1513.
[5] Io ... dextro: in Terenzio: ego iam te commotum reddam: ti far ballare io. Machiavelli traduce l'espressione con una forma idiomatica; dextro significa agile.
[6] un paio: uno alle mani e un altro ai piedi.
[7] Come che: come se.
[8] ogni poco di suplicio: il castigo pi leggero.
[9] una: una sola.
[10] preparato: ammaestrato.
[11] io ... sotto: temo che non stia ben saldo. Terenzio aveva scritto metuo ut substet.
[12]d a capo: fin dal principio.
[13] si faceva chiamare Ramnusio: diceva di essere di Ramnunte, cittadina dell'Attica.
[14] religione: scrupoli.
[15] mi pare: mi va.
[16] riscontrare: incontrare.
[17] sono franco: sono salvo. Pu godere anche lui delle nozze.