Niccol Machiavelli
Dell'arte della guerra
Libro primo
Perch io credo che si possa lodare dopo la morte ogni uomo, sanza carico, sendo mancata ogni cagione e sospetto di adulazione, non dubiter di lodare Cosimo Rucellai nostro, il nome del quale non fia mai ricordato da me sanza lagrime, avendo conosciute in lui quelle parti le quali, in uno buono amico dagli amici, in uno cittadino dalla sua patria si possono disiderare. Perch io non so quale cosa si fusse tanto sua (non eccettuando, non ch'altro, l'anima) che per gli amici volentieri da lui non fusse stata spesa; non so quale impresa lo avesse sbigottito, dove quello avesse conosciuto il bene della sua patria. E io confesso, liberamente, non avere riscontro, tra tanti uomini che io ho conosciuti e pratichi, uomo nel quale fusse il pi acceso animo alle cose grandi e magnifiche. N si dolse con gli amici d'altro, nella sua morte, se non di essere nato per morire giovane dentro alle sue case, e inonorato, sanza avere potuto, secondo l'animo suo, giovare ad alcuno; perch sapeva che di lui non si poteva parlare altro, se non che fusse morto uno buono amico. Non resta per, per questo, che noi, e qualunque altro che come noi lo conosceva, non possiamo fare fede, poi che l'opere non appariscono, delle sue lodevoli qualit. Vero che non gli fu per in tanto la fortuna nimica, che non lasciasse alcun breve ricordo della destrezza del suo ingegno, come ne dimostrano alcuni suoi scritti e composizioni di amorosi versi; ne' quali, come che innamorato non fusse, per non consumare il tempo invano, tanto che a pi alti pensieri la fortuna lo avesse condotto, nella sua giovenile et si esercitava; dove chiaramente si pu comprendere con quanta felicit i suoi concetti descrivesse, e quanto nella poetica si fusse onorato, se quella, per suo fine, fusse da lui stata esercitata. Avendone pertanto privati la fortuna dello uso d'uno tanto amico, mi pare che non si possa farne altri rimedi che, il pi che a noi possibile cercare, di godersi la memoria di quello e repetere se da lui alcuna cosa fusse stata o acutamente detta o saviamente disputata. E perch non cosa di lui pi fresca, che il ragionamento il quale ne' prossimi tempi il signore Fabrizio Colonna dentro a' suoi orti ebbe con seco (dove largamente fu da quel signore delle cose della guerra disputato, e acutamente e prudentemente in buona parte da Cosimo domandato); mi parso, essendo con alcuni altri nostri amici stato presente, ridurlo alla memoria, acci che, leggendo quello, gli amici di Cosimo che quivi convennono, nel loro animo la memoria delle sue virt rinfreschino, e gli altri, parte si dolgano di non vi essere intervenuti, parte molte cose utili alla vita non solamente militare, ma ancora civile, saviamente da uno sapientissimo uomo disputate, imparino.
Dico pertanto che, tornando Fabrizio Colonna di Lombardia, dove pi tempo aveva per il re cattolico con grande sua gloria militato, diliber, passando per Firenze, riposarsi alcuno giorno in quella citt, per vicitare la eccellenza del duca e rivedere alcuni gentili uomini co' quali per lo addietro aveva tenuto qualche familiarit. Donde che a Cosimo parve convitarlo ne' suoi orti, non tanto per usare la sua liberalit, quanto per avere cagione di parlar seco lungamente, e da quello intendere ed imparare varie cose, secondo che da un tale uomo si pu sperare, parendogli avere occasione di spendere uno giorno in ragionare di quelle materie che allo animo suo sodisfacevano. Venne adunque Fabrizio, secondo che quello volle, e da Cosimo insieme con alcuni altri suoi fidati amici fu ricevuto; tra' quali furono Zanobi Buondelmonti, Batista della Palla e Luigi Alamanni, giovani tutti amati da lui e de' medesimi studi ardentissimi, le buone qualit de' quali, perch ogni giorno e ad ogni ora per se medesime si lodano, ommettereno. Fabrizio adunque fu, secondo i tempi e il luogo, di tutti quegli onori che si poterono maggiori onorato, ma passati i convivali piaceri e levate le tavole e consumato ogni ordine di festeggiare, il quale, nel conspetto degli uomini grandi e che a pensieri onorevoli abbiano la mente volta, si consuma tosto, essendo il d lungo e il caldo molto, giudic Cosimo, per sodisfare meglio al suo disiderio, che fusse bene, pigliando l'occasione dal fuggire il caldo, condursi nella pi segreta e ombrosa parte del suo giardino. Dove pervenuti e posti a sedere, chi sopra all'erba che in quel luogo freschissima, chi sopra a sedili in quelle parti ordinati sotto l'ombra d'altissimi arbori, lod Fabrizio il luogo come dilettevole; e considerando particolarmente gli arbori e alcuno di essi non ricognoscendo, stava con l'animo sopeso. Della qual cosa accortosi Cosimo, disse: - Voi per avventura non avete notizia di parte di questi arbori; ma non ve ne maravigliate, perch ce ne sono alcuni pi dagli antichi, che oggi dal comune uso, celebrati. - E dettogli il nome di essi, e come Bernardo suo avolo in tale cultura si era affaticato, replic Fabrizio: - Io pensava che fusse quello che voi dite; e questo luogo e questo studio mi faceva ricordare d'alcuni principi del Regno, i quali di queste antiche culture e ombre si dilettano.- E fermato in su questo il parlare e stato alquanto sopra di s come sospeso, soggiunse: - Se io non credessi offendere, io ne direi la mia opinione ma io non lo credo fare, parlando con gli amici, e per disputare le cose e non per calunniarle. Quanto meglio arebbono fatto quelli, sia detto con pace di tutti, a cercare di somigliare gli antichi nelle cose forti e aspre, non nelle delicate e molli, e in quelle che facevano sotto il sole, non sotto l'ombra, e pigliare i modi della antichit vera e perfetta, non quelli della falsa e corrotta; perch, poi che questi studi piacquero ai miei Romani, la mia patria rovin.- A che Cosimo rispose... Ma per fuggire i fastidi d'avere a repetere tante volte "quel disse e quello altro soggiunse", si noteranno solamente i nomi di chi parli, sanza replicarne altro. Disse dunque
COSIMO Voi avete aperto la via a uno ragionamento quale io desiderava, e vi priego che voi parliate sanza rispetto, perch io sanza rispetto vi domander; e se io, domandando o replicando, scuser o accuser alcuno, non sar per scusare o per accusare, ma per intendere da voi la verit.
FABRIZIO E io sar molto contento di dirvi quel che io intender di tutto quello mi domanderete; il che se sar vero o no, me ne rapporter al vostro giudicio. E mi sar grato mi domandiate, perch io sono per imparare cos da voi nel domandarmi, come voi da me nel rispondervi; perch molte volte uno savio domandatore fa a uno considerare molte cose e conoscerne molte altre, le quali, sanza esserne domandato, non arebbe mai conosciute.
COSIMO Io voglio tornare a quello che voi dicesti prima: che lo avolo mio e quegli vostri arebbero fatto pi saviamente a somigliare gli antichi nelle cose aspre che nelle delicate; e voglio scusare la parte mia, perch l'altra lascer scusare a voi. Io non credo ch'egli fusse, ne' tempi suoi, uomo che tanto detestasse il vivere molle quanto egli, e che tanto fusse amatore di quella aspreva di vita che voi lodate; nondimeno e' conosceva non potere nella persona sua, n in quella de' suoi figliuoli, usarla essendo nato in tanta corruttela di secolo, dove uno che si volesse partire dal comune uso, sarebbe infame e vilipeso da ciascheduno. Perch se uno ignudo, di state, sotto il pi alto sole si rivoltasse sopr' alla rena, o di verno ne' pi gelati mesi sopra alla neve, come faceva Diogene, sarebbe tenuto pazzo. Se uno, come gli Spartani, nutrisse i suoi figliuoli in villa, facessegli dormire al sereno, andare col capo e co' piedi ignudi lavare nell'acqua fredda per indurgli a poter sopportare il male e per fare loro amare meno la vita e temere meno la morte, sarebbe schernito e tenuto piuttosto una fiera che uno uomo. Se fusse ancora veduto uno nutrirsi di legumi e spregiare l'oro, come Fabrizio, sarebbe lodato da pochi e seguito da niuno. Tal che, sbigottito da questi modi del vivere presente, egli lasci gli antichi, e in quello che potette con minore ammirazione imitare l'antichit, lo fece.
FABRIZIO Voi lo avete scusato in questa parte gagliardamente, e certo voi dite il vero; ma io non parlava tanto di questi modi di vivere duri, quanto di altri modi pi umani e che hanno con la vita d'oggi maggiore conformit i quali io non credo che ad uno che sia numerato tra' principi d'una citt, fusse stato difficile introdurgli. Io non mi partir mai, con lo esempio di qualunque cosa, da' miei Romani. Se si considerasse la vita di quegli e l'ordine di quella republica, si vedrebbero molte cose in essa non impossibili ad introdurre in una civilit dove fusse qualche cosa ancora del buono.
COSIMO Quali cose sono quelle che voi vorresti introdurre simili all'antiche?
FABRIZIO Onorare e premiare le virt non dispregiare la povert, stimare i modi e gli ordini della disciplina militare, constringere i cittadini ad amare l'uno l'altro, a vivere sanza stte, a stimare meno il privato che il publico, e altre simili cose che facilmente si potrebbono con questi tempi accompagnare. I quali modi non sono difficili persuadere, quando vi si pensa assai ed entrasi per li debiti mezzi, perch in essi appare tanto la verit, che ogni comunale ingegno ne puote essere capace; la quale cosa chi ordina, pianta arbori sotto l'ombra de' quali si dimora pi felice e pi lieto che sotto questa.
COSIMO Io non voglio replicare, a quello che voi avete detto, alcuna cosa ma ne voglio lasciare dare giudicio a questi, i quali facilmente ne possono giudicare; e volger il mio parlare a voi che siete accusatore di coloro che nelle gravi e grandi azioni non sono degli antichi imitatori, pensando, per questa via, pi facilmente essere nella mia intenzione sodisfatto. Vorrei pertanto sapere da voi, donde nasce che dall'un canto voi danniate quegli che nelle azioni loro gli antichi non somigliano; dall'altro, nella guerra, la quale l'arte vostra e in quella che voi siete giudicato eccellente, non si vede che voi abbiate usato alcuno termine antico, o che a quegli alcuna similitudine renda.
FABRIZIO Voi siete capitato appunta dove io vi aspettava, perch il parlare mio non meritava altra domanda, n io altra ne desiderava. E bench io mi potessi salvare con una facile scusa, nondimeno voglio entrare, a pi sodisfazione mia e vostra, poi che la stagione lo comporta, in pi lungo ragionamento. Gli uomini che vogliono fare una cosa, deono prima con ogni industria prepararsi, per essere, venendo l'occasione, apparecchiati a sodisfare a quello che si hanno presupposto di operare. E perch) quando le preparazioni sono fatte cautamente, elle non si conoscono, non si pu accusare alcuno d'alcuna negligenza! Se prima non scoperto dalla occasione; nella quale poi, non operando,si vede o che non si preparato tanto che basti, o che non vi ha in alcuna parte pensato. E perch a me non venuta occasione alcuna di potere mostrare i preparamenti da me fatti per potere ridurre la milizia negli antichi suoi ordini, se io non la ho ridotta, non ne posso essere da voi n da altri incolpato. Io credo che questa scusa basterebbe per risposta all'accusa vostra.
COSIMO Basterebbe, quando io fussi certo che l'occasione non fusse venuta.
FABRIZIO Ma perch io so che voi potete dubitare se questa occasione venuta o no, voglio io largamente, quando voi vogliate con pazienza ascoltarmi, discorrere quali preparamenti sono necessarii prima fare, quale occasione bisogna nasca, quale difficult impedisce che i preparamenti non giovano e che l'occasione non venga; e come questa cosa a un tratto, che paiono termini contrarii, difficilissima e facilissima a fare.
COSIMO Voi non potete fare, e a me e a questi altri, cosa pi grata di questa; e se a voi non rincrescer il parlare, mai a noi non rincrescer l'udire. Ma perch questo ragionamento debbe esser lungo, io voglio aiuto da questi miei amici, con licenza vostra, e loro e io vi preghiamo d'una cosa. Che voi non pigliate fastidio se qualche volta, con qualche domanda importuna, vi interrompereno.
FABRIZIO Io sono contentissimo che voi, Cosimo, con questi altri giovani qui mi domandiate, perch io credo che la giovent vi faccia pi amici delle cose militari e pi facili a credere quello che da me si dir. Questi altri, per aver gi il capo bianco e avere i sangui ghiacciati addosso, parte sogliono essere nimici della guerra, parte incorreggibili, come quegli che credono che i tempi e non i cattivi modi costringano gli uomini a vivere cos. Si che domandatemi tutti voi sicuramente e sanza rispetto il che io disidero, si perch mi fia un poco di riposo, s perch io ar piacere non lasciare nella mente vostra alcuna dubitazione. Io mi voglio cominciare dalle parole vostre, dove voi mi dicesti che nella guerra, che l'arte mia, io non aveva usato alcun termine antico. Sopra a che dico come, essendo questa una arte mediante la quale gli uomini d'ogni tempo non possono vivere onestamente, non la pu usare per arte se non una republica o uno regno; e l'uno e l'altro di questi, quando sia bene ordinato, mai non consent ad alcuno suo cittadino o suddito usarla per arte; n mai alcuno uomo buono l'esercit per sua particulare arte. Perch buono non sar mai giudicato colui che faccia uno esercizio che, a volere d'ogni tempo trarne utilit, gli convenga essere rapace, fraudolento, violento e avere molte qualita di le quali di necessit lo facciano non buono; n possono gli uomini che l'usano per arte, cos i grandi come i minimi, essere fatti altrimenti, perch questa arte non gli nutrisce nella pace; donde che sono necessitati o pensare che non sia pace, o tanto prevalersi ne' tempi della guerra, che possano nella pace nutrirsi. E qualunque l'uno di questi due pensieri non cape in uno uomo buono; perch dal volersi potere nutrire d'ogni tempo, nascono le ruberie, le violenze, gli assassinamenti che tali soldati fanno cos agli amici come a' nimici; e dal non volere la pace nascono gli inganni che i capitani fanno a quegli che gli conducono, perch la guerra duri; e se pure la pace viene, spesso occorre che i capi, sendo privi degli stipendi e del vivere, licenziosamente rizzano una bandiera di ventura e sanza alcuna piet saccheggiano una provincia. Non avete voi nella memoria delle cose vostre come, trovandosi assai soldati in Italia sanza soldo per essere finite le guerre, si radunarono insieme pi brigate, le quali si chiamarono Compagnie, e andavano taglieggiando le terre e saccheggiando il paese, sanza che vi si potesse fare alcuno rimedio? Non avete voi letto che i soldati cartaginesi, finita la prima guerra ch'egli ebbero co' Romani, sotto Mato e Spendio, due capi fatti tumultuariamente da loro, ferono pi pericolosa guerra a' Cartaginesi che quella che loro avevano finita co' Romani? Ne' tempi de' padri nostri, Francesco Sforza, per potere vivere onorevolmente ne' tempi della pace, non solamente ingann i Milanesi de' quali era soldato, ma tolse loro la libert e divenne loro principe. Simili a costui sono stati tutti gli altri soldati di Italia, che hanno usata la milizia per loro particolare arte; e se non sono, mediante le loro malignita, diventati duchi di Milano, tanto pi meritano di essere biasimati, perch sanza tanto utile hanno tutti, se si vedesse la vita loro, i medesimi carichi. Sforza, padre di Francesco, costrinse la reina Giovanna a gittarsi nelle braccia del re di Ragona avendola in un subito abbandonata e in mezzo a' suoi nimici lasciatala disarmata, solo per sfogare l'ambizione sua o di taglieggiarla o di torle il regno. Braccio, con le medesime industrie, cerc di occupare il regno di Napoli; e se non era rotto e morto a Aquila, gli riusciva. Simili disordini non nascono da altro che da essere stati uomini che usavano lo esercizio del soldo per loro propria arte. Non avete voi uno proverbio il quale fortifica le mie ragioni, che dice: "La guerra fa i ladri, e la pace gl'impicca?". Perch quegli che non sanno vivere d'altro esercizio e in quello non trovando chi gli sovvenga e non avendo tanta virt che sappiano ridursi insieme a fare una cattivit onorevole, sono forzati dalla necessit rompere la strada, e la giustizia forzata spegnerli.
COSIMO Voi m' avete fatto tornare questa arte del soldo quasi che nulla, e io me la aveva presupposta la pi eccellente e la pi onorevole che si facesse; in modo che, se voi non me la dichiarate meglio, io non resto sodisfatto, perch, quando sia quello che voi dite, io non so donde si nasca la gloria di Cesare, di Pompeo, di Scipione, di Marcello, e di tanti capitani romani che sono per fama celebrati come dii.
FABRIZIO Io non ho ancora finito di disputare tutto quello che io proposi, che furono due cose: L'una, che uno uomo buono non poteva usare questo esercizio per sua arte; L'altra, che una republica o uno regno bene ordinato non permesse mai che i suoi suggetti o i suoi cittadini la usassono per arte. Circa la prima ho parlato quanto mi occorso: restami a parlare della seconda, dove io verr a rispondere a questa ultima domanda vostra; e dico che Pompeo e Cesare, e quasi tutti quegli capitani che furono a Roma dopo l'ultima guerra cartaginese, acquistarono fama come valenti uomini, non come buoni; e quegli che erano vivuti avanti a loro, acquistarono gloria come valenti e buoni. Il che nacque perch questi non presero lo esercizio della guerra per loro arte, e quegli che io nominai prima, come loro arte la usarono. E in mentre che la republica visse immaculata, mai alcuno cittadino grande non presunse, mediante tale esercizio, valersi nella pace, rompendo le leggi, spogliando le provincie, usurpando e tiranneggiando la patria e in ogni modo prevalendosi; n alcuno d'infima fortuna pens di violare il sacramento, aderirsi agli uomini privati, non temere il senato, o seguire alcuno tirannico insulto per potere vivere, con l'arte della guerra, d'ogni tempo. Ma quegli che erano capitani, contenti del trionfo, con disiderio tornavono alla vita privata; e quelli che erano membri, con maggior voglia deponevano le armi che non le pigliavano; e ciascuno tornava all'arte sua mediante la quale si aveva ordinata la vita; n vi fu mai alcuno che sperasse con le prede e con questa arte potersi nutrire. Di questo se ne pu fare, quanto a' cittadini grandi, evidente coniettura mediante Regolo Attilio; il quale, sendo capitano degli eserciti romani in Affrica e avendo quasi che vinti i Cartaginesi, domand al senato licenza di ritornarsi a casa a custodire i suoi poderi che gli erano guasti dai suoi lavoratori. Donde pi chiaro che il sole, che, se quello avesse usata la guerra come sua arte e, mediante quella, avesse pensato farsi utile, avendo in preda tante provincie, non arebbe domandato licenza per tornare a custodire i suoi campi; perch ciascuno giorno arebbe molto pi, che non era il prezzo di tutti quegli, acquistato. Ma perch questi uomini buoni, e che non usano la guerra per loro arte, non vogliono trarre di quella se non fatica, pericoli e gloria, quando e' sono a sufficienza gloriosi disiderano tornarsi a casa e vivere dell'arte loro. Quanto agli uomini bassi e soldati gregarii, che sia vero che tenessono il medesimo ordine apparisce, Che ciascuno volentieri si discostava da tale esercizio e, quando non militava, arebbe voluto militare e, quando militava, arebbe voluto essere licenziato. Il che si riscontra per molti modi, e massime vedendo come, tra' primi privilegi che dava il popolo romano a un suo cittadino, era che non fusse constretto fuora di sua volont a militare. Roma pertanto, mentre ch'ella fu bene ordinata (che fu infino a' Gracchi) non ebbe alcuno soldato che pigliasse questo esercizio per arte; e per ne ebbe pochi cattivi, e quelli tanti furono severamente puniti. Debbe adunque una citt bene ordinata volere che questo studio di guerra si usi ne' tempi di pace per esercizio e ne' tempi di guerra per necessit e per gloria, e al publico solo lasciarla usare per arte, come fece Roma. E qualunque cittadino che ha in tale esercizio altro fine, non buono; e qualunque citt si governa altrimenti, non bene ordinata.
COSIMO Io resto contento assai e sodisfatto di quello che insino a qui avete detto, e piacemi assai questa conclusione che voi avete fatta; e quanto si aspetta alla republica, io credo ch'ella sia vera; ma quanto ai re, non so gi, perch io crederrei che uno re volesse avere intorno chi particolarmente prendesse, per arte sua, tale esercizio.
FABRIZIO Tanto pi debbe uno regno bene ordinato fuggire simili artefici. Perch solo essi sono la corruttela del suo re e, in tutto, ministri della tirannide. E non mi allegate all'incontro alcuno regno presente, perch io vi negher quelli essere regni bene ordinati. Perch i regni che hanno buoni ordini, non danno lo imperio assoluto agli loro re se non nelli eserciti; perch in questo luogo solo necessaria una subita diliberazione e, per questo, che vi sia una unica podest. Nell'altre cose non pu fare alcuna cosa sanza consiglio, e hanno a temere, quegli che lo consigliano, che gli abbi alcuno appresso che ne' tempi di pace disideri la guerra, per non potere sanza essa vivere. Ma io voglio in questo essere un poco pi largo, n ricercare uno regno al tutto buono, ma simile a quegli che sono oggi; dove ancora da' re deono esser temuti quegli che prendono per loro arte la guerra, perch il nervo degli eserciti, sanza alcun dubbio, sono le fanterie. Tal che, se uno re non si ordina in modo che i suoi fanti a tempo di pace stieno contenti tornarsi a casa e vivere delle loro arti, conviene di necessit che rovini; perch non si truova la pi pericolosa fanteria che quella che composta di coloro che fanno la guerra come per loro arte, perch tu sei forzato o a fare sempre mai guerra, o a pagargli sempre, o a portare pericolo che non ti tolgano il regno. Fare guerra sempre non possibile; pagargli sempre non si pu; ecco che di necessit si corre ne' pericoli di perdere lo stato. I miei Romani, come ho detto, mentre che furono savi e buoni, mai non permessero che i loro cittadini pigliassono questo esercizio per loro arte. Nonostante che potessono nutrirgli d'ogni tempo, perch d'ogni tempo fecero guerra. Ma per fuggire quel danno che poteva fare loro questo continuo esercizio, poich il tempo non variava, ei variavano gli uomini, e andavano temporeggiando in modo con le loro legioni, che in quindici anni sempre l'avevano rinnovate; e cos si valevano degli uomini nel fiore della loro et, che da' diciotto a' trentacinque anni, nel qual tempo le gambe, le mani e l'occhio rispondevano l'uno all'altro; n aspettavano che in loro scemasse le forze e crescesse la malizia, com'ella fece poi ne tempi corrotti. Perch Ottaviano, prima, e poi Tiberio, pensando pi alla potenza propria che all'utile publico, cominciarono a disarmare il popolo romano per poterlo pi facilmente comandare, e a tenere continuamente quegli medesimi eserciti alle frontiere dello Imperio. E perch ancora non giudicarono bastassero a tenere in freno il popolo e senato romano, ordinarono uno esercito chiamato Pretoriano, il quale stava propinquo alle mura di Roma ed era come una rocca addosso a quella citt. E perch allora ei cominciarono liberamente a permettere che gli uomini deputati in quelli eserciti usassero la milizia per loro arte, ne nacque subito la insolenza di quegli, e diventarono formidabili al senato e dannosi allo imperadore; donde ne risult che molti ne furono morti dalla insolenza loro, perch davano e toglievano l'imperio a chi pareva loro; e talvolta occorse che in uno medesimo tempo erano molti imperadori creati da varii eserciti. Dalle quali cose proced, prima, la divisione dello Imperio e, in ultimo, la rovina di quello. Deono pertanto i re, se vogliono vivere sicuri, avere le loro fanterie composte di uomini che, quando egli tempo di fare guerra, volentieri per suo amore vadano a quella, e, quando viene poi la pace, pi volentieri se ne ritornino a casa. Il che sempre fia, quando egli scerr uomini che sappiano vivere d'altra arte che di questa. E cos debbe volere, venuta la pace, che i suoi principi tornino a governare i loro popoli, i gentili uomini al culto delle loro possessioni, e i fanti alla loro particolare arte: e ciascuno d'essi faccia volentieri la guerra per avere pace, e non cerchi turbare la pace per avere guerra.
COSIMO Veramente questo vostro ragionamento mi pare bene considerato; nondimeno, sendo quasi che contrario a quello che io insino a ora ne ho pensato, non mi resta ancora l'animo purgato d'ogni dubbio; perch io veggo assai signori e gentili uomini nutrirsi a tempo di pace mediante gli studii della guerra, come sono i pari vostri che hanno provvisioni dai principi e dalle comunit. Veggo ancora quasi tutti gli uomini d'arme rimanere con le provvisioni loro; veggo assai fanti restare nelle guardie delle citt e delle fortezze; tale che mi pare che ci sia luogo, a tempo di pace, per ciascuno.
FABRIZIO Io non credo che voi crediate questo, che a tempo di pace ciascheduno abbia luogo; perch, posto che non se ne potesse addurre altra ragione, il poco numero che fanno tutti coloro che rimangono ne' luoghi allegati da voi, vi risponderebbe: che proporzione hanno le fanterie che bisognano nella guerra con quelle che nella pace si adoperano ? Perch le fortezze e le citt che si guardano a tempo di pace, nella guerra si guardano molto pi; a che si aggiungono i soldati che Si tengono in campagna, che sono un numero grande, i quali tutti nella pace si abbandonano. E circa le guardie degli stati, che sono uno piccolo numero, papa Iulio e voi avete mostro a ciascuno quanto sia da temere quegli che non vogliono sapere fare altra arte che la guerra; e gli avete per la insolenza loro privi delle vostre guardie e postovi Svizzeri, come nati e allevati sotto le leggi e eletti dalle comunit, secondo la vera elezione; s che non dite pi che nella pace sia luogo per ogni uomo. Quanto alle genti d'arme, rimanendo quelle nella pace tutte con li loro soldi, pare questa soluzione pi difficile; nondimeno, chi considera bene tutto, truova la risposta facile, perch questo modo del tenere le genti d'arme modo corrotto e non buono. La cagione perch sono uomini che ne fanno arte, e da loro nascerebbe ogni d mille inconvenienti nelli stati dove ei fussono, se fussero accompagnati da compagnia sufficiente; ma sendo pochi e non potendo per loro medesimi fare un esercito, non possono fare cos spesso danni gravi. Nondimeno ne hanno fatti assai volte, come io vi dissi di Francesco e di Sforza, suo padre, e di Braccio da Perugia. S che questa usanza di tenere le genti d'arme, io non la appruovo, ed corrotta e pu fare inconvenienti grandi.
COSIMO Vorresti voi fare sanza? O, tenendone, come le vorresti tenere?
FABRIZIO Per via d'ordinanza; non simile a quella del re di Francia, perch'ella pericolosa ed insolente come la nostra, ma simile a quelle degli antichi; i quali creavano la cavalleria di sudditi loro, e ne' tempi di pace gli mandavano alle case loro a vivere delle loro arti, come pi largamente, prima finisca questo ragionamento, disputer. S che, se ora questa parte di esercito pu vivere in tale esercizio, ancora quando sia pace, nasce dall'ordine corrotto. Quanto alle provvisioni che si riserbano a me e agli altri capi, vi dico che questo medesimamente uno ordine corrottissimo, perch una savia republica non le debbe dare ad alcuno- anzi debbe operare per capi, nella guerra, i suoi cittadini e, a tempo di pace, volere che ritornino all'arte loro. Cos ancora uno savio re o e' non le debbe dare o, dandole, debbono essere le cagioni: o per premio di alcuno egregio fatto, o per volersi valere d'uno uomo cos nella pace come nella guerra. E perch voi allegasti me, io voglio esemplificare sopra di me; e dico non aver mai usata la guerra per arte, perch l'arte mia governare i miei sudditi e defendergli, e, per potergli defendere, amare la pace e saper fare la guerra. Ed il mio re non tanto mi premia e stima per intendermi io della guerra, quanto per sapere io ancora consigliarlo nella pace. Non debbe adunque alcuno re volere appresso di s alcuno che non sia cos fatto, s'egli savio e prudentemente si voglia governare; perch, s'egli ar intorno, o troppi amatori della pace, o troppi amatori della guerra, lo faranno errare. Io non vi posso, in questo mio primo ragionamento e secondo le proposte mie dire altro; e quando questo non vi basti conviene cerchiate di chi vi sodisfaccia meglio. Potete bene avere cominciato a conoscere quanta difficult sia ridurre i modi antichi nelle presenti guerre e quali preparazioni ad uno uomo savio conviene rare, e quali occasioni si possa sperare a poterle esequire; ma voi di mano in mano conoscerete queste cose meglio, quando non vi infastidisca il ragionamento, conferendo qualunque parte degli antichi ordini ai modi presenti.