Niccol Machiavelli

Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio

 

 

Capitolo 31

Che i capitani romani per errore commesso non furano

mai istraordinariamente puniti; n furano mai ancora puniti

quando per la ignoranza loro o tristi partiti presi

da loro ne fusse seguiti danni alla republica.

 

I Romani non solamente, come di sopra avemo discorso, furano manco ingrati che l'altre republiche, ma ancora furano pi pii e pi rispettivi nella punizione de' loro capitani degli eserciti che alcuna altra. Perch se il loro errore fusse stato per malizia, e' lo gastigavano umanamente; se gli era per ignoranza, non che lo punissono, e' lo premiavano ed onoravano. Questo modo del procedere era bene considerato da loro: perch e' giudicavano che fusse di tanta importanza, a quelli che governavano gli eserciti loro, lo avere l'animo libero ed espedito, e sanza altri estrinseci rispetti nel pigliare i partiti, che non volevono aggiugnere, a una cosa per s stessa difficile e pericolosa, nuove difficult e pericoli; pensando che, aggiugnendoveli, nessuno potessi essere che operassi mai virtuosamente. Verbigrazia, e' mandavano uno esercito in Grecia contro a Filippo di Macedonia, o in Italia contro a Annibale, o contro a quelli popoli che vinsono prima. Era, questo capitano che era preposto a tale espedizione, angustiato da tutte quelle cure che si arrecavano dietro quelle faccende, le quali sono gravi e importantissime. Ora, se a tali cure si fussi aggiunto pi esempli de' Romani ch'eglino avessono crucifissi o altrimenti morti quelli che avessono perdute le giornate, egli era inpossibile che quello capitano intra tanti sospetti potessi deliberare strenuamente. Per, giudicando essi che a questi tali fusse assai pena la ignominia dello avere perduto, non li vollono con altra maggiore pena sbigottire.

Uno esemplo ci , quanto allo errore commesso non per ignoranza. Erano Sergio e Virginio a campo a Veio, ciascuno preposto a una parte dello esercito; de' quali Sergio era all'incontro donde potevono venire i Toscani, e Virginio dall'altra parte. Occorse che, sendo assaltato Sergio da' Falisci e da altri popoli, sopport di essere rotto e fugato prima che mandare per aiuto a Virginio. E dall'altra parte Virginio, aspettando che si umiliasse, volle pi tosto vedere il disonore della patria sua e la rovina di quello esercito, che soccorrerlo. Caso veramente malvagio e degno d'essere notato, e da fare non buona coniettura della Republica romana, se l'uno o l'altro non fussono stati gastigati. Vero che, dove un'altra republica gli averebbe puniti di pena capitale, quella gli pun in denari. Il che nacque non perch i peccati loro non meritassono maggiore punizione, ma perch gli Romani vollono in questo caso, per le ragioni gi dette, mantenere gli antichi costumi loro. E quando agli errori per ignoranza, non ci il pi bello esemplo che quello di Varrone: per la temerit del quale sendo rotti i Romani a Canne da Annibale, dove quella Republica port pericolo della sua libert; nondimeno, perch vi fu ignoranza e non malizia, non solamente non lo gastigarono ma lo onorarono; e gli and incontro, nella tornata sua in Roma, tutto l'ordine senatorio: e non lo potendo ringraziare della zuffa, lo ringraziarono ch'egli era tornato in Roma, e non si era disperato delle cose romane. Quando Papirio Cursore voleva fare morire Fabio, per avere, contro al suo comandamento, combattuto co' Sanniti; intra le altre ragioni che dal padre di Fabio erano assegnate contro alla ostinazione del dittatore, era che il popolo romano in alcuna perdita de' suoi capitani non aveva fatto mai quello che Papirio nelle vittorie voleva fare.

 

 

Capitolo 32

Una republica o uno principe non debbe differire

a beneficare gli uomini nelle sue necessitadi.

 

Ancora che ai Romani succedesse felicemente essere liberali al popolo, sopravvenendo il pericolo, quando Porsenna venne a assaltare Roma per rimettere i Tarquinii; dove il Senato, dubitando della plebe, che la non volesse pi tosto accettare i re che sostenere la guerra, per assicurarsene la sgrav delle gabelle del sale, e d'ogni gravezza, dicendo come i poveri assai operavano in beneficio publico se ei nutrivono i loro figliuoli; e che per questo beneficio quel popolo si esponessi a sopportare ossidione, fame e guerra; non sia alcuno che, confidatosi in questo esemplo, differisca ne' tempi de' pericoli a guadagnarsi il popolo; per che mai gli riuscir quello che riusc ai Romani. Perch l'universale giudicher non avere quel bene da te, ma dagli avversari tuoi, e dovendo temere che, passata la necessit, tu ritolga loro quello che hai forzatamente loro dato, non ar teco obligo alcuno. E la cagione perch a' Romani torn bene questo partito, fu perch lo stato era nuovo, e non per ancora fermo; e aveva veduto quel popolo, come innanzi si erano fatte leggi in beneficio suo, come quella dell'appellagione alla plebe; in modo che ei potette persuadersi che quel bene gli era fatto, non era tanto causato dalla venuta dei nimici, quanto dalla disposizione del Senato in beneficarli. Oltre a questo, la memoria dei re era fresca, dai quali erano stati in molti modi vilipesi e ingiuriati. E perch simili cagioni accaggiono rade volte, occorrer ancora rade volte che simili rimedi giovino. Per, debbe qualunque tiene stato, cos republica come principe, considerare innanzi, quali tempi gli possono venire addosso contrari, e di quali uomini ne' tempi avversi si pu avere di bisogno; e dipoi vivere con loro in quello modo che giudica, sopravvegnente qualunque caso, essere necessitato vivere. E quello che altrimenti si governa, o principe o republica, e massime un principe, e poi in sul fatto crede, quando il pericolo sopravviene, con i beneficii riguadagnarsi gli uomini, se ne inganna: perch, non solamente non se ne assicura, ma accelera la sua rovina.

 

 

Capitolo 33

Quando uno inconveniente cresciuto o in uno stato o contro

a uno stato, pi salutifero partito temporeggiarlo che urtarlo.

 

Crescendo la Republica romana in riputazione, forze ed imperio, i vicini, i quali prima non avevano pensato quanto quella nuova republica potesse arrecare loro di danno, cominciarono, ma tardi, a conoscere lo errore loro; e volendo rimediare a quello che prima non aveano rimediato, congiurarono bene quaranta popoli contro a Roma: donde i Romani intra gli altri rimedii soliti farsi da loro negli urgenti pericoli, si volsono a creare il Dittatore, cio dare potest a uno uomo che sanza alcuna consulta potesse diliberare, e sanza alcuna appellagione potesse esequire le sue diliberazioni. Il quale rimedio, come allora fu utile, e fu cagione che vincessero i soprastanti pericoli, cos fu sempre utilissimo in tutti quegli accidenti che, nello augumento dello imperio, in qualunque tempo surgessono contro alla Republica.

Sopra il quale accidente da discorrere prima, come, quando uno inconveniente, che surga o in una republica o contro a una republica, causato da cagione intrinseca o estrinseca, diventato tanto grande che e' cominci a fare paura a ciascuno, molto pi sicuro partito temporeggiarsi con quello, che tentare di estinguerlo. Perch, quasi sempre, coloro che tentano di ammorzarlo fanno le sue forze maggiori, e fanno accelerare quel male che da quello si sospettava. E di questi simili accidenti ne nasce nella republica pi spesso per cagione intrinseca che estrinseca: dove molte volte, o e' si lascia pigliare ad uno cittadino pi forze che non ragionevole, o e' si comincia a corrompere una legge, la quale il nervo e la vita del vivere libero; e lasciasi trascorrere questo errore in tanto, che gli pi dannoso partito il volere rimediare che lasciarlo seguire. E tanto pi difficile il conoscere questi inconvenienti quando e' nascono, quanto e' pare pi naturale agli uomini favorire sempre i principii delle cose: e tali favori possano, pi che in alcuna altra cosa, nelle opere che paiano che abbiano in s qualche virt e siano operate da' giovani. Perch se in una republica si vede surgere uno giovane nobile, quale abbia in s virt istraordinaria, tutti gli occhi de' cittadini si cominciono a voltare verso lui e concorrere,sanza alcuno rispetto, a onorarlo; in modo che, se in quello punto d'ambizione, accozzati i favori che gli d la natura e questo accidente, viene subito in luogo che, quando i cittadini si avveggono dello errore loro, hanno pochi rimedi ad ovviarvi e volendo quegli tanti ch'egli hanno, operarli, non fanno altro che accelerare la potenza sua.

Di questo se ne potrebbe addurre assai esempli, ma io ne voglio solamente dare uno della citt nostra. Cosimo de' Medici, dal quale la casa de' Medici in la nostra citt ebbe il principio della sua grandezza, venne in tanta riputazione col favore che gli dette la sua prudenza e la ignoranza degli altri cittadini, che ei cominci a fare paura allo stato, in modo che gli altri cittadini giudicavano l'offenderlo pericoloso ed il lasciarlo stare cos, pericolosissimo. Ma vivendo in quei tempi Niccol da Uzzano, il quale nelle cose civili era tenuto uomo espertissimo, ed avendo fatto il primo errore di non conoscere i pericoli che dalla riputazione di Cosimo potevano nascere; mentre che visse, non permesse mai che si facesse il secondo, cio che si tentasse di volerlo spegnere; giudicando tale tentazione essere al tutto la rovina dello stato loro; come si vide in fatto, che fu, dopo la sua morte: perch, non osservando quegli cittadini che rimasono, questo suo consiglio, si feciono forti contro a Cosimo, e lo cacciorono da Firenze. Donde ne nacque che la sua parte, per questa ingiuria risentitasi, poco di poi lo richiam, e lo fece principe della republica: a il quale grado sanza quella manifesta opposizione non sarebbe mai potuto salire.

Questo medesimo intervenne a Roma con Cesare, che, favorita da Pompeio e dagli altri quella sua virt, si convert poco dipoi quel favore in paura: di che fa testimone Cicerone, dicendo che Pompeio aveva tardi cominciato a temere Cesare. La quale paura fece che pensarono ai rimedi; e gli rimedi che fecero, accelerarono la rovina della loro Republica.

Dico, adunque, che poi che gli difficile conoscere questi mali quando ei surgano, causata questa difficult da uno inganno che ti fanno le cose in principio, pi savio partito il temporeggiarle poi che le si conoscono, che l'oppugnarle: perch, temporeggiandole, o per loro medesime si spengono, o almeno il male si differisce in pi lungo tempo. E in tutte le cose debbono aprire gli occhi i principi che disegnano cancellarle o alle forze ed impeto loro opporsi; di non dare loro, in cambio di detrimento, augumento; e, credendo sospingere una cosa, tirarsela dietro, ovvero suffocare una pianta a annaffiarla. Ma si debbano considerare bene le forze del malore, e quando ti vedi sufficiente a sanare quello, metterviti sanza rispetto; altrimenti lasciarlo stare, n in alcun modo tentarlo. Perch interverrebbe, come di sopra si discorre, come intervenne a' vicini di Roma: ai quali, poich Roma era cresciuta in tanta potenza, era pi salutifero con gli modi della pace cercare di placarla e ritenerla addietro, che coi modi della guerra farle pensare ai nuovi ordini e alle nuove difese. Perch quella loro congiura non fece altro che farli pi uniti, pi gagliardi, e pensare a modi nuovi, mediante i quali in pi breve tempo ampliarono la potenza loro. Intra i quali fu la creazione del Dittatore; per lo quale nuovo ordine, non solamente superarono i soprastanti pericoli ma fu cagione di ovviare a infiniti mali, ne' quali sanza quello rimedio quella republica sarebbe incorsa.

 

 

Capitolo 34

L'autorit dittatoria fece bene, e non danno, alla republica romana:

e come le autorit che i cittadini si tolgono, non quelle che sono

loro dai suffragi liberi date, sono alla vita civile perniziose.

 

E' sono stati dannati da alcuno scrittore quelli Romani che trovarono in quella citt modo di creare il Dittatore, come cosa che fosse cagione, col tempo, della tirannide di Roma; allegando, come il primo tiranno che fosse in quella citt la comand sotto questo titolo dittatorio; dicendo che, se non vi fusse stato questo Cesare non arebbe potuto sotto alcuno titolo publico adonestare la sua tirannide. La quale cosa non fu bene, da colui che tiene questa opinione, esaminata, e fu fuori d'ogni ragione creduta. Perch, e' non fu il nome n il grado del Dittatore che facesse serva Roma, ma fu l'autorit presa dai cittadini per la lunghezza dello imperio: e se in Roma fusse mancato il nome dittatorio, ne arebbono preso un altro; perch e' sono le forze che facilmente si acquistano i nomi, non i nomi le forze. E si vede che 'l Dittatore, mentre fu dato secondo gli ordini publici, e non per autorit propria, fece sempre bene alla citt. Perch e' nuocono alle republiche i magistrati che si fanno e l'autoritadi che si dnno per vie istraordinarie, non quelle che vengono per vie ordinarie: come si vede che segu in Roma, in tanto processo di tempo, che mai alcuno Dittatore fece se non bene alla Republica.

Di che ce ne sono ragioni evidentissime. Prima, perch a volere che un cittadino possa offendere, e pigliarsi autorit istraordinaria, conviene ch'egli abbia molte qualit, le quali in una republica non corrotta non pu mai avere: perch gli bisogna essere ricchissimo, ed avere assai aderenti e partigiani, i quali non pu avere dove le leggi si osservano; e quando pure ve gli avessi, simili uominl sono in modo formidabili, che i suffragi liberi non concorrano in quelli. Oltra di questo, il Dittatore era fatto a tempo, e non in perpetuo, e per ovviare solamente a quella cagione mediante la quale era creato; e la sua autorit si estendeva in potere diliberare per s stesso circa i rimedi di quello urgente pericolo, e fare ogni cosa sanza consulta, e punire ciascuno sanza appellagione: ma non poteva fare cosa che fussi in diminuzione dello stato; come sarebbe stato trre autorit al Senato o al Popolo, disfare, gli ordini vecchi della citt, e farne de' nuovi. In modo che, raccozzato il breve tempo della sua dittatura, e le autorit limitate che egli aveva, ed il popolo romano non corrotto; era impossibile ch'egli uscisse de' termini suoi, e nocessi alla citt: e per esperienza si vede che sempre mai giov.

E veramente, infra gli altri ordini romani, questo uno che merita essere considerato e numerato infra quegli che furono cagione della grandezza di tanto imperio; perch sanza uno simile ordine le cittadi con difficult usciranno degli accidenti istraordinari. Perch gli ordini consueti nelle republiche hanno il moto tardo (non potendo alcuno consiglio n alcuno magistrato per s stesso operare ogni cosa, ma avendo in molte cose bisogno l'uno dell'altro, e perch nel raccozzare insieme questi voleri va tempo) sono i rimedi loro pericolosissimi, quando egli hanno a rimediare a una cosa che non aspetti tempo. E per le republiche debbano intra loro ordini avere uno simile modo: e la Republica viniziana, la quale intra le moderne republiche eccellente, ha riservato autorit a pochi cittadini, che ne' bisogni urgenti, sanza maggiore consulta, tutti d'accordo possino deliberare. Perch, quando in una republica manca uno simile modo, necessario, o, servando gli ordini, rovinare, o, per non ruinare, rompergli. Ed in una republica non vorrebbe mai accadere cosa che con modi straordinari si avesse a governare. Perch, ancora che il modo straordinario per allora facesse bene, nondimeno lo esemplo fa male; perch si mette una usanza di rompere gli ordini per bene, che poi, sotto quel colore, si rompono per male. Talch mai fia perfetta una republica, se con le leggi sue non ha provisto a tutto, e ad ogni accidente posto il rimedio, e dato il modo a governarlo. E per, conchiudendo, dico che quelle republiche, le quali negli urgenti pericoli non hanno rifugio o al Dittatore o a simili autoritadi, sempre ne' gravi accidenti rovineranno. da notare in questo nuovo ordine il modo dello eleggerlo, quanto dai Romani fu saviamente provisto. Perch, sendo la creazione del Dittatore con qualche vergogna dei Consoli, avendo, di capi della citt, a divenire sotto una ubbidienza come gli altri; e presupponendo che di questo avessi a nascere isdegno fra' cittadini; vollono che l'autorit dello eleggerlo fosse nei Consoli: pensando che, quando l'accidente venisse che Roma avesse bisogno di questa regia potest, ei lo avessono a fare volentieri e facendolo loro, che dolesse loro meno. Perch le ferite ed ogni altro male che l'uomo si fa da s spontaneamente e per elezione, dolgano di gran lunga meno, che quelle che ti sono fatte da altrui. Ancora che poi negli ultimi tempi i Romani usassono, in cambio del Dittatore, di dare tale autorit al Console, con queste parole: "Videat Consul, ne Respublica quid detrimenti capiat". E per tornare alla materia nostra, conchiudo, come i vicini di Roma, cercando opprimergli, gli fecerono ordinare, non solamente a potersi difendere, ma a potere, con pi forza, pi consiglio e pi autorit, offendere loro.

 

 

Capitolo 35

La cagione perch la creazione in Roma del decemvirato

fu nociva alla libert di quella republica,

non ostante che fusse creato per suffragi publici e liberi.

 

E' pare contrario a quel che di sopra discorso, che quella autorit che si occupa con violenza, non quella ch' data con gli suffragi, nuoce alle republiche, la elezione dei dieci cittadini creati dal Popolo romano per fare le leggi in Roma: i quali ne diventarono con il tempo tiranni, e sanza alcuno rispetto occuparono la libert di quella. Dove si debbe considerare i modi del dare l'autorit e il tempo per che la si d. E quando e' si dia autorit libera, col tempo lungo, chiamando il tempo lungo uno anno o pi, sempre fia pericolosa, e far gli effetti o buoni o rei, secondo che siano rei o buoni coloro a chi la sar data. E se si considerr l'autorit che ebbero i Dieci, e quella che avevano i Dittatori, si vedr, sanza comparazione, quella de' Dieci maggiore. Perch, creato il Dittatore, rimanevano i Tribuni, i Consoli, il Senato, con la loro autorit; n il Dittatore la poteva trre loro: e s'egli avessi potuto privare, uno del Consolato, uno del Senato, ei non poteva annullare l'ordine senatorio, e fare nuove leggi. In modo che il Senato, i Consoli, i Tribuni, restando con l'autorit loro, venivano a essere come sua guardia, a farlo non uscire della via diritta. Ma nella creazione de' Dieci occorse tutto il contrario: perch gli annullorono i Consoli ed i Tribuni; dettero loro autorit di fare legge, ed ogni altra cosa, come il Popolo romano. Talch, trovandosi soli, sanza Consoli, sanza Tribuni, sanza appellagione al Popolo; e per questo non venendo ad avere chi gli osservasse ei poterono, il secondo anno, mossi dall'ambizione di Appio, diventare insolenti. E per questo si debbe notare, che, quando e' si e detto che una autorit, data da' suffragi liberi, non offese mai alcuna republica, si presuppone che un popolo non si conduca mai a darla, se non con le debite circunstanze e ne' debiti tempi: ma quando, o per essere ingannato, o per qualche altra cagione che lo accecasse, e' si conducesse a darla imprudentemente, e nel modo che il Popolo romano la dette a' Dieci gl'interverr sempre come a quello. Questo si prova facilmente, considerando quali cagioni mantenessero i Dittatori buoni, e quali facessero i Dieci cattivi; e considerando ancora, come hanno fatto quelle republiche che sono state tenute bene ordinate, nel dare l'autorit per lungo tempo, come davano gli Spartani agli loro Re, e come dnno i Viniziani ai loro Duci: perch si vedr, all'uno ed all'altro modo di costoro essere poste guardie, che facevano che ei non potevano usare male quella autorit. N giova, in questo caso, che la materia non sia corrotta; perch una autorit assoluta in brevissimo tempo corrompe la materia e si fa amici e partigiani. N gli nuoce, o essere povero, o non avere parenti; perch le ricchezze ed ogni altro favore subito gli corre dietro: come particularmente nella creazione de' detti Dieci discorrereno.

 

 

Capitolo 36

Non debbano i cittadini, che hanno avuti i maggiori onori,

sdegnarsi de' minori.

 

Avevano i Romani fatto Marco Fabio e G. Manilio consoli, e vinta una gloriosissima giornata contro a' Veienti e gli Etruschi; nella quale fu morto Quinto Fabio, fratello del consolo, quale lo anno davanti era stato consolo. Dove si debbe considerare quanto gli ordini di quella citt erano atti a farla grande; e quanto le altre republiche, che si discostono da' modi suoi, s'ingannino. Perch, ancora che i Romani fossono amatori grandi della gloria, nondimeno non stimavano cos disonorevole ubbidire ora a chi altra volta essi avevano comandato, e trovarsi a servire in quello esercito del quale erano stati principi. Il quale costume contrario alla opinione, ordini e modi de' cittadini de' tempi nostri: ed in Vinegia ancora questo errore, che uno cittadino, avendo avuto un grado grande, si vergogni di accettarne uno minore; e la citt gli consenta che se ne possa discostare. La quale cosa, quando fusse onorevole per il privato, al tutto inutile per il publico. Perch pi speranza debbe avere una republica, e pi confidare in uno cittadino che da uno grado grande scenda a governare uno minore che in quello che da uno minore salga a governare uno maggiore. Perch a costui non pu ragionevolmente credere, se non gli vede uomini intorno, i quali siano di tanta riverenza o di tanta virt che la novit di colui possa essere, con il consiglio ed autorit loro, moderata. E quando in Roma fosse stata la consuetudine quale a Vinegia e nell'altre republiche e regni moderni, che chi era stato una volta Consolo non volesse mai pi andare negli eserciti se non Consolo, ne sarebbero nate infinite cose in disfavore del vivere libero; e per gli errori che arebbon fatti gli uomini nuovi, e per l'ambizione che loro arebbono potuta usare meglio, non avendo uomini intorno, nel cospetto de' quali ei temessono errare; e cos sarebbero venuti a essere pi sciolti: il che sarebbe tornato tutto in detrimento publico.

 

 

Capitolo 37

Quali scandoli partor in Roma la legge agraria: e come fare una legge

in una republica, che riguardi assai indietro, e sia contro

a una consuetudine antica della citt, scandolosissimo.

 

Egli sentenzia degli antichi scrittori, come gli uomini sogliono affliggersi nel male e stuccarsi nel bene; e come dall'una e dall'altra di queste due passioni nascano i medesimi effetti. Perch, qualunque volta tolto agli uomini il combattere per necessit, combattono per ambizione; la quale tanto potente ne' petti umani, che mai, a qualunque grado si salgano, gli abbandona. La cagione , perch la natura ha creati gli uomini in modo che possono desiderare ogni cosa, e non possono conseguire ogni cosa: talch, essendo sempre maggiore il desiderio che la potenza dello acquistare, ne risulta la mala contentezza di quello che si possiede, e la poca sodisfazione d'esso. Da questo nasce il variare della fortuna loro: perch, disiderando gli uomini, parte di avere pi, parte temendo di non perdere lo acquistato, si viene alle inimicizie ed alla guerra; dalla quale nasce la rovina di quella provincia e la esaltazione di quell'altra. Questo discorso ho fatto, perch alla Plebe romana non bast assicurarsi de' nobili per la creazione de' Tribuni, al quale desiderio fu costretta per necessit; che lei, subito, ottenuto quello, cominci a combattere per ambizione, e volere con la Nobilt dividere gli onori e le sustanze, come cosa stimata pi dagli uomini. Da questo nacque il morbo che partor la contenzione della legge agraria, che infine fu causa della distruzione della Republica. E perch le republiche bene ordinate hanno a tenere ricco il publico e gli loro cittadini, poveri, convenne che fusse nella citt di Roma difetto in questa legge: la quale o non fusse fatta nel principio in modo che la non si avesse ogni d a ritrattare, o che si differisse tanto in farla, che fosse scandoloso il riguardarsi indietro o, sendo ordinata bene da prima, era stata poi dall'uso corrotta, talch in qualunque modo si fusse, mai non si parl di questa legge in Roma, che quella citt non andasse sottosopra.

Aveva questa legge due capi principali. Per l'uno si disponeva che non si potesse possedere per alcuno cittadino pi che tanti iugeri di terra; per l'altro, che i campi di che si privavano i nimici, si dividessono intra il popolo romano. Veniva pertanto a fare di dua sorte offese ai nobili: perch quegli che possedevano pi beni non permetteva la legge (quali erano la maggiore parte de' nobili), ne avevano a essere privi, e dividendosi intra la plebe i beni de' nimici, si toglieva a quegli la via dello arricchire. Sicch, venendo a essere queste offese contro a uomini potenti, e, che pareva loro, contrastandola, difendere il publico, qualunque volta, come detto, si ricordava, andava sottosopra tutta quella citt: e i nobili con pazienza ed industria la temporeggiavano o con trarre fuora uno esercito o che a quel Tribuno che la proponeva si opponesse un altro Tribuno, o talvolta cederne parte, ovvero mandare una colonia in quel luogo che si avesse a distribuire: come intervenne del contado di Anzio, per il quale surgendo questa disputa della legge, si mand in quel luogo una colonia, tratta di Roma, alla quale si consegnasse detto contado. Dove Tito Livio usa un termine notabile, dicendo che con difficult si trov in Roma chi desse il nome per ire in detta colonia: tanto era quella plebe pi pronta a volere desiderare le cose in Roma, che a possederle in Anzio. And questo omore di questa legge, cos, travagliandosi un tempo, tanto che gli Romani cominciarono a condurre le loro armi nelle estreme parti di Italia, o fuori di Italia; dopo al quale tempo parve che la cessassi. Il che nacque perch i campi che possedevano i nimici di Roma essendo discosti agli occhi della plebe, ed in luogo dove non gli era facile il cultivargli, veniva a essere meno desiderosa di quegli: e ancora i Romani erano meno punitori de' loro nimici in simil modo; e quando pure spogliavano alcuna terra del suo contado, vi distribuivano colonie. Tanto che, per tali cagioni, questa legge stette come addormentata infino ai Gracchi; da' quali essendo poi svegliata, rovin al tutto la libert romana; perch la trov raddoppiata la potenza de' suoi avversari, e si accese, per questo, tanto odio intra la Plebe ed il Senato, che si venne nelle armi ed al sangue, fuori d'ogni modo e costume civile. Talch, non potendo i publici magistrati rimediarvi, n sperando pi alcuna delle fazioni in quegli, si ricorse ai rimedi privati, e ciascuna delle parti pens di farsi uno capo che la difendesse. Prevenne in questo scandolo e disordine la plebe, e volse la sua riputazione a Mario tanto che la lo fece quattro volte consule; ed in tanto continov con pochi intervalli il suo consolato, che si potette per s stesso far consulo tre altre volte. Contro alla quale peste non avendo la Nobilit alcuno rimedio, si volse a favorire Silla; e fatto, quello, capo della parte sua, vennero alle guerre civili; e, dopo molto sangue e variare di fortuna, rimase superiore la Nobilit. Risuscitarono poi questi omori a tempo di Cesare e di Pompeio; perch, fattosi Cesare capo della parte di Mario, e Pompeio di quella di Silla, venendo alle mani, rimase superiore Cesare: il quale fu primo tiranno in Roma; talch mai fu poi libera quella citt.

Tale, adunque, principio e fine ebbe la legge agraria. E bench noi mostrassimo altrove, come le inimicizie di Roma intra il Senato e la Plebe mantenessero libera Roma, per nascerne, da quelle, leggi in favore della libert, e per questo paia disforme a tale conclusione il fine di questa legge agraria; dico come, per questo, io non mi rimuovo da tale opinione: perch gli tanta l'ambizione de' grandi, che, se per varie vie ed in vari modi ella non in una citt sbattuta, tosto riduce quella citt alla rovina sua. In modo che, se la contenzione della legge agraria pen trecento anni a fare Roma serva, si sarebbe condotta, per avventura, molto pi tosto in servit quando la plebe, e con questa legge e con altri suoi appetiti, non avesse sempre frenato l'ambizione de' nobili. Vedesi per questo ancora, quanto gli uomini stimano pi la roba che gli onori. Perch la Nobilit romana sempre negli onori cede sanza scandoli straordinari alla plebe; ma come si venne alla roba fu tanta la ostinazione sua nel difenderla, che la plebe ricorse, per isfogare l'appetito suo, a quegli straordinari che di sopra si discorrono. Del quale disordine furono motori i Gracchi, de' quali si debbe laudare pi la intenzione che la prudenzia. Perch, a volere levar via uno disordine cresciuto in una republica, e per questo fare una legge che riguardi assai indietro, partito male considerato; e, come di sopra largamente si discorse, non si fa altro che accelerare quel male, a che quel disordine ti conduce: ma, temporeggiandolo, o il male viene pi tardo, o per s medesimo col tempo avanti che venga al fine suo, si spegne.

 

 

Capitolo 38

Le republiche deboli sono male risolute e non si sanno diliberare;

e se le pigliano mai alcun partito, nasce pi da necessit che da elezione.

 

Essendo in Roma una gravissima pestilenza, e parendo per questo agli Volsci ed agli Equi che fusse venuto il tempo di potere oppressare Roma, fatto questi due popoli uno grossissimo esercito, assaltarono i Latini e gli Ernici; e guastando il loro paese, furono costretti i Latini e gli Ernici farlo intendere a Roma, e pregare che fossero difesi da' Romani: ai quali, sendo i Romani gravati dal morbo, risposero che pigliassero partito di difendersi da loro medesimi e con le loro armi, perch essi non gli potevano difendere. Dove si conosce la generosit e prudenza di quel Senato, e come sempre in ogni fortuna volle essere quello che fusse principe delle diliberazioni che avessero a pigliare i suoi; n si vergogn mai diliberare una cosa che fusse contraria al suo modo di vivere o ad altre diliberazioni fatte da lui, quando la necessit gliene comandava.

Questo dico, perch altre volte il medesimo Senato aveva vietato ai detti popoli l'armarsi e difendersi; talch a uno Senato meno prudente di questo sarebbe paruto cadere del grado suo a concedere loro tale difensione. Ma quello sempre giudic le cose come si debbano giudicare, e sempre prese il meno reo partito per migliore: perch male gli sapeva non potere difendere i suoi sudditi, male gli sapeva che si armassero sanza loro, per le ragioni dette e per molte altre che s'intendano: nondimeno, conoscendo che si sarebbono armati, per necessit, a ogni modo, avendo il nimico addosso; prese la parte onorevole, e volle che quello che gli aveano a fare, lo facessero con licenza sua, acciocch, avendo disubbidito per necessit, non si avvezzassero a disubbidire per elezione. E bench questo paia partito che da ciascuna republica dovesse essere preso, nientedimeno le republiche deboli e male consigliate non gli sanno pigliare, n si sanno onorare di simili necessit. Aveva il duca Valentino presa Faenza, e fatto calare Bologna agli accordi suoi. Dipoi, volendo tornarsene a Roma per la Toscana, mand in Firenze uno suo uomo a domandare il passo per s e per lo esercito suo. Consultossi in Firenze come si avesse a governare questa cosa, n fu mai consigliato per alcuno di concedergliene. In che non si segu il modo romano: perch, sendo il Duca armatissimo, ed i Fiorentini in modo disarmati che non gli potevan vietare il passare, era molto pi onore loro, che paresse che passasse con volont di quegli, che a forza; perch, dove vi fu al tutto il loro vituperio, sarebbe stato in parte minore quando l'avessero governata altrimenti. Ma la pi cattiva parte che abbiano le republiche deboli, essere inresolute; in modo che tutti i partiti che le pigliono, gli pigliono per forza; e se vien loro fatto alcun bene, lo fanno forzate, e non per prudenza loro.

Io voglio dare di questo due altri esempli, occorsi ne' tempi nostri, nello stato della nostra citt.

Nel 1500, ripreso che il re Luigi XII di Francia ebbe Milano, desideroso di rendervi Pisa, per avere cinquantamila ducati che gli erano stati promessi da' Fiorentini dopo tale restituzione, mand gli suoi eserciti verso Pisa, capitanati da monsignore di Beumonte; bench francese, nondimanco uomo in cui i Fiorentini assai confidavano. Condussesi questo esercito e questo capitano intra Cascina e Pisa, per andare a combattere le mura; dove dimorando alcuno giorno per ordinarsi alla espugnazione, vennono oratori Pisani a Beumonte, e gli offerirono di dare la citt allo esercito francese con questi patti: che, sotto la fede del re, promettesse non la mettere in mano de' Fiorentini, prima che dopo quattro mesi. Il quale partito fu da' Fiorentini al tutto rifiutato, in modo che si segu nello andarvi a campo e partirsene con vergogna. N fu rifiutato il partito per altra cagione che per diffidare della fede del re; come quegli che per debolezza di consiglio si erano per forza messi nelle mani sue, e, dall'altra parte, non se ne fidavano, ne vedevano quanto era meglio che il re potesse rendere loro Pisa sendovi dentro, e, non la rendendo, scoprire l'animo suo, che, non la avendo, poterla loro promettere, e loro essere forzati comperare quelle promesse. Talch, molto pi utilmente arebbono fatto a acconsentire che Beumonte l'avessi, sotto qualunque promessa, presa: come se ne vide la esperienza dipoi nel 1502, che, essendosi ribellato Arezzo, venne ai soccorsi de' Fiorentini mandato da il re di Francia monsignor Imbalt con gente francese; il quale, giunto propinquo ad Arezzo, dopo poco tempo cominci a praticare accordo con gli Aretini, i quali sotto certa fede volevon dare la terra, a similitudine de' Pisani. Fu rifiutato in Firenze tale partito; il che veggendo monsignor Imbalt, e parendogli come i Fiorentini se ne intendessero poco, cominci a tenere le pratiche dello accordo da s, sanza partecipazione de' Commessari: tanto che ei lo conchiuse a suo modo, e, sotto quello, con le sue genti se n'entr in Arezzo, faccendo intendere ai Fiorentini come egli erano matti, e non s'intendevano delle cose del mondo: che, se volevano Arezzo, lo facessero intendere a il re, il quale lo poteva dare loro molto meglio, avendo le sua gente in quella citt, che fuori. Non si restava in Firenze di lacerare e biasimare detto Imbalt; n si rest mai infino a tanto che si conobbe che, se Beumonte fosse stato simile a Imbalt, si sarebbe avuto Pisa come Arezzo.

E cos, per tornare a proposito, le republiche inresolute non pigliono mai partiti buoni, se non per forza, perch la debolezza loro non le lascia mai deliberare dove alcuno dubbio; e se quel dubbio non cancellato da una violenza che le sospinga, stanno sempre mai sospese.

 

 

Capitolo 39

In diversi popoli si veggano spesso i medesimi accidenti.

 

E' si conosce facilmente, per chi considera le cose presenti e le antiche, come in tutte le citt ed in tutti i popoli sono quegli medesimi desiderii e quelli medesimi omori, e come vi furono sempre. In modo che gli facil cosa, a chi esamina con diligenza le cose passate, prevedere in ogni republica le future, e farvi quegli rimedi che dagli antichi sono stati usati; o, non ne trovando degli usati, pensarne de' nuovi, per la similitudine degli accidenti. Ma perch queste considerazioni sono neglette, o non intese da chi legge, o, se le sono intese, non sono conosciute da chi governa; ne seguita che sempre sono i medesimi scandoli in ogni tempo.

Avendo la citt di Firenze, dopo il 94, perso parte dello imperio suo, come Pisa ed altre terre, fu necessitata fare guerra a coloro che le occupavano. E perch chi le occupava era potente, ne seguiva che si spendeva assai nella guerra, sanza alcun frutto; dallo spendere assai, ne risultava assai gravezze; dalle gravezze, infinite querele del popolo: e perch questa guerra era amministrata da uno magistrato di dieci cittadini che si chiamavano i Dieci della guerra, l'universale cominci a recarselo in dispetto, come quello che fusse cagione e della guerra e delle spese d'essa; e cominci a persuadersi che, tolto via detto magistrato, fusse tolto via la guerra, tanto che, avendosi a rifare, non se gli fecero gli scambi; e lasciatosi spirare, si mandarono le azioni sue alla Signoria. La quale diliberazione fu tanto perniziosa, che, non solamente non lev la guerra, come lo universale si persuadeva, ma, tolto via quegli uomini che con prudenza l'amministravano, ne segu tanto disordine, che, oltre a Pisa, si perd Arezzo e molti altri luoghi: in modo che, ravvedutosi il popolo dello errore suo, e come la cagione del male era la febbre e non il medico, rifece il magistrato de' Dieci. Questo medesimo omore si lev in Roma contro al nome de' Consoli: perch veggendo quello popolo nascere l'una guerra dall'altra, e non poter mai riposarsi; dove e' dovevano pensare che la nascessi dall'ambizione de' vicini che gli volevano opprimere, pensavano nascessi dall'ambizione de' nobili, che, non potendo dentro in Roma gastigare la Plebe difesa dalla potest tribunizia, la volevon condurre fuora di Roma sotto i Consoli, per oppressarla dove la non aveva aiuto alcuno. E pensarono, per questo, che fusse necessario o levar via i Consoli, o regolare in modo la loro potest, che e' non avessono autorit sopra il popolo n fuori n in casa. Il primo che tent questa legge, fu uno Terentillo tribuno; il quale proponeva che si dovessero creare cinque uomini che dovessero considerare la potenza de' Consoli, e limitarla. Il che alter assai la Nobilit, parendogli che la maiest dello imperio fusse al tutto declinata, talch alla Nobilit non restasse pi alcun grado in quella Republica. Fu nondimeno tanta l'ostinazione de' Tribuni, che 'l nome consolare si spense; e furono in fine contenti, dopo qualche altro ordine, pi tosto creare Tribuni con potest consolare, che Consoli: tanto avevano pi in odio il nome che l'autorit loro. E cos seguitarono lungo tempo, infine che, conosciuto l'errore loro, come i Fiorentini ritornarono a' Dieci, cos loro ricreorno i Consoli.

 

 

Capitolo 40

La creazione del decemvirato in Roma, e quello che in essa

da notare: dove si considera, intra molte altre cose,

come si pu o salvare, per simile accidente, o oppressare una republica.

 

Volendo discorrere particularmente sopra gli accidenti che nacquero in Roma per la creazione del Decemvirato, non mi pare soperchio narrare, prima, tutto quello che segu per simile creazione, e dopo disputare quelle parti che sono, in esse azioni, notabili: le quali sono molte e di grande considerazione, cos per coloro che vogliono mantenere una republica libera, come per quelli che disegnassono sottometterla. Perch in tale discorso si vedr, molti errori fatti dal Senato e dalla plebe in disfavore della libert; e molti errori fatti da Appio, capo del Decemvirato, in disfavore di quella tirannide che egli si aveva presupposto stabilire in Roma. Dopo molte disputazioni e contenzioni seguite intra il Popolo e la Nobilit per fermare nuove leggi in Roma, per le quali si stabilisse pi la libert di quello stato, mandarono, d'accordo, Spurio Pestumio, con duoi altri Cittadini, a Atene, per gli esempli di quelle leggi che Solone dette a quella citt, acciocch sopra quelle potessono fondare le leggi romane. Andati e tornati costoro, si venne alla creazione degli uomini che avessero ad esaminare e fermare dette leggi; e crearono dieci cittadini per uno anno, intra i quali fu creato Appio Claudio, uomo sagace ed inquieto. E perch e' potessono, sanza alcun rispetto, creare tali leggi, si levarono di Roma tutti gli altri magistrati, ed in particulare i Tribuni ed i Consoli, e levossi lo appello al Popolo; in modo che tale magistrato veniva a essere al tutto principe di Roma. Appresso ad Appio si ridusse tutta l'autorit degli altri suoi compagni, per i favori che gli faceva la Plebe; perch egli s'era fatto in modo popolare con le dimostrazioni, che pareva maraviglia ch'egli avesse preso s presto una nuova natura e uno nuovo ingegno, essendo stato tenuto, innanzi a questo tempo, uno crudele perseguitatore della plebe.

Governaronsi questi Dieci assai civilmente, non tenendo pi che dodici littori, i quali andavano davanti a quello ch'era infra loro proposto. E bench gli avessono l'autorit assoluta, nondimeno, avendosi a punire uno cittadino romano per omicida, lo citorno nel cospetto del popolo, e da quello lo fecero giudicare. Scrissero le loro leggi in dieci tavole; ed avanti che le confermassero, le messono in publico, acciocch ciascuno le potesse leggere e disputarle; acciocch si conoscesse se vi era alcun difetto, per poterle innanzi alla confermazione loro emendare. Fece, in su questo, Appio nascere un romore per Roma, che, se a queste dieci tavole se ne aggiugnesse due altre, si darebbe a quelle la loro perfezione; talch questa opinione dette occasione al popolo di rifare i Dieci per un altro anno: a che il popolo s'accord volentieri, s perch i Consoli non si rifacessono, s perch e' pareva loro potere stare sanza Tribuni, sendo loro giudici delle cause, come disopra si disse. Preso, dunque, partito di rifarli, tutta la Nobilit si mosse a cercare questi onori; ed intra i primi era Appio; ed usava tanta umanit verso la plebe nel domandarlo, che la cominci a essere sospetta a' suoi compagni: "credebant enim haud gratuitam in tanta superbia comitatem fore". E dubitando di opporsegli apertamente, deliberarono farlo con arte, e bench e' fusse minore di tempo di tutti dettono a lui autorit di proporre i futuri Dieci al popolo, credendo ch'egli osservassi i termini degli altri di non proporre s medesimo, sendo cosa inusitata e ignominiosa in Roma. "Ille vero impedimentum pro occasione arripuit" e nomin s intra i primi, con maraviglia e dispiacere di tutti i nobili; nomin dipoi nove altri, a suo proposito. La quale nuova creazione, fatta per uno altro anno, cominci a mostrare al Popolo ed alla Nobilit lo errore suo. Perch subito "Appius finem fecit ferendae alienae personae"; e cominci a mostrare la innata sua superbia, ed in pochi d riempi de' suoi costumi i suoi compagni. E per isbigottire il popolo ed il Senato in cambio di dodici littori, ne feciono cento venti.

Stette la paura equale qualche giorno; ma cominciarono poi a intrattenere il Senato, e batter la plebe: e se alcuno battuto dall'uno, appellava all'altro, era peggio trattato nell'appellagione che nella prima sentenzia. In modo che la Plebe, conosciuto lo errore suo, cominci piena di afflizione a riguardare in viso i nobili, "et inde libertatis captare auram, unde servitutem timendo, in eum statum rempublicam adduxerunt". E alla Nobilit era grata questa loro afflizione, "ut ipsi, taedio praesentium, Consules desiderarent". Vennono i d che terminavano l'anno: le due tavole delle leggi erano fatte, ma non publicate. Da questo i Dieci presono occasione di continovare nel magistrato; e cominciarono a tenere con violenza lo stato, e farsi satelliti della giovent nobile, alla quale davono i beni di quegli che loro condennavano. "Quibus donis juventus corrumpebatur et malebat licentiam suam, quam omnium libertatem". Nacque in questo tempo, che i Sabini ed i Volsci mossero guerra a' Romani; in su la quale paura cominciarono i Dieci a vedere la debolezza dello stato loro, perch sanza il Senato non potevono ordinare la guerra, e, ragunando il Senato, pareva loro perdere lo stato. Pure, necessitati, presono questo ultimo partito; e ragunati i senatori insieme, molti de' senatori parlarono contro alla superbia de' Dieci, e in particulare Valerio ed Orazio: e l'autorit loro si sarebbe al tutto spenta, se non che il Senato, per invidia della Plebe, non volle mostrare l'autorit sua pensando che, se i Dieci deponevano il magistrato voluntari, che potesse essere che i Tribuni della plebe non si rifacessero. Deliberossi dunque la guerra uscissi fuori con dua eserciti guidati da parte di detti Dieci; Appio rimase a governare la citt. Donde nacque che si innamor di Virginia, e che, volendola trre per forza, il padre Virginio, per liberarla, l'ammazz: donde seguirono i tumulti di Roma e degli eserciti: i quali riduttisi insieme con il rimanente della plebe romana, se ne andarono nel Monte Sacro, dove stettero tanto che i Dieci deposono il magistrato, e che furono creati i Tribuni ed i Consoli, e ridotta Roma nella forma della sua antica libert.

Notasi adunque, per questo testo, in prima, essere nato in Roma questo inconveniente di creare questa tirannide per quelle medesime cagioni che nascano la maggior parte delle tirannidi nelle citt: e questo da troppo desiderio del popolo, d'essere libero, e da troppo desiderio de' nobili, di comandare. E quando e' non convengano a fare una legge in favore della libert, ma gettasi qualcuna delle parti a favorire uno, allora che subito la tirannide surge. Convennono il popolo ed i nobili di Roma a creare i Dieci, e crearli con tanta autorit, per il desiderio che ciascuna delle parti aveva, l'una di spegnere il nome consolare, l'altra il tribunizio. Creati che furono, parendo alla plebe che Appio fusse diventato popolare e battessi la Nobilit, si volse il popolo a favorirlo. E quando uno popolo si conduce a fare questo errore, di dare riputazione a uno, perch batta quelli che egli ha in odio, e che quello uno sia savio, sempre interverr ch'e' diventer tiranno di quella citt. Perch egli attender, insieme col favore del popolo, a spegnere la Nobilit; e non si volter mai alla oppressione del popolo, se non quando e' l'ar spenta; nel quale tempo, conosciutosi il popolo essere servo, non abbi dove rifuggire. Questo modo hanno tenuto tutti coloro che hanno fondato tirannide in le republiche. E se questo modo avesse tenuto Appio, quella sua tirannide arebbe presa pi vita, e non sarebbe mancata s presto: ma e' fece tutto il contrario, n si potette governare pi imprudentemente; che, per tenere la tirannide, e' si fece inimico di coloro che gliele avevano data e che gliele potevano mantenere, ed inimico di quelli che non erano concorsi a dargliene e che non gliene arebbono potuta mantenere; e perdessi coloro che gli erano amici, e cerc di avere amici quegli che non gli potevano essere amici. Perch, ancora che i nobili desiderino tiranneggiare, quella parte della Nobilit che si truova fuori della tirannide, sempre inimica al tiranno; n quello se la pu guadagnare mai tutta, per l'ambizione grande e grande avarizia che in lei non potendo il tiranno avere n tante ricchezze n tanti onori che a tutta satisfaccia. E cos Appio, lasciando il popolo ed accostandosi a' nobili, fece uno errore evidentissimo, e per le ragioni dette di sopra, e perch, a volere con violenza tenere una cosa, bisogna che sia pi potente chi sforza che chi sforzato.

Donde nasce che quegli tiranni che hanno amico l'universale ed inimici i grandi, sono pi sicuri, per essere la loro violenza sostenuta da maggiori forze, che quella di coloro che hanno per inimico il popolo e amica la Nobilit. Perch con quello favore bastono a conservarsi le forze intrinseche: come bastarono a Nabide, tiranno di Sparta, quando tutta Grecia e il Popolo romano lo assalt: il quale, assicuratosi di pochi nobili, avendo amico il Popolo, con quello si difese; il che non arebbe potuto fare avendolo inimico. In quello altro grado per avere pochi amici dentro, non bastono le forze intrinseche, ma gli conviene cercare di fuora. Ed hanno a essere di tre sorte: l'una satelliti forestieri, che ti guardino la persona, l'altra armare il contado, che faccia quello ufficio che arebbe a fare la plebe, la terza accostarsi con vicini potenti che ti difendino. Chi tiene questi modi e gli osserva bene, ancora ch'egli avesse per inimico il popolo, potrebbe in qualche modo salvarsi. Ma Appio non poteva fare questo, di guadagnarsi il contado, sendo una medesima cosa il contado e Roma: e quel che poteva fare, non seppe: talmente che rovin ne' primi principii suoi. Fecero il Senato ed il Popolo in questa creazione del Decemvirato errori grandissimi: perch, avvenga che di sopra si dica, in quel discorso che si fa del Dittatore, che quegli magistrati che si fanno da per loro, non quelli che fa il popolo, sono nocivi alla libert; nondimeno il popolo debbe, quando egli ordina i magistrati, fargli in modo che gli abbino avere qualche rispetto a diventare scelerati. E dove e' si debbe preporre loro guardia per mantenergli buoni, i Romani la levarono, faccendolo solo magistrato in Roma, ed annullando tutti gli altri, per la eccessiva voglia (come di sopra dicemo) che il Senato aveva di spegnere i Tribuni, e la plebe di spegnere i Consoli; la quale gli accec in modo, che concorsono in tale disordine. Perch gli uomini, come diceva il re Ferrando, spesso fanno come certi minori uccelli di rapina; ne' quali tanto desiderio di conseguire la loro preda, a che la natura gl'incita, che non sentono uno altro maggiore uccello che sia loro sopra per ammazzarli. Conoscesi, adunque, per questo discorso, come nel principio preposi, lo errore del popolo romano, volendo salvare la libert, e gli errori di Appio, volendo occupare la tirannide.

 

 

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1998 - by prof. Giuseppe Bonghi

data ultima modifica: 02 luglio, 2004