Niccol Machiavelli

Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio

 

 

Capitolo 1

A volere che una setta o una republica viva lungamente,

necessario ritirarla spesso verso il suo principio.

 

Egli cosa verissima, come tutte le cose del mondo hanno il termine della vita loro; ma quelle vanno tutto il corso che loro ordinato dal cielo, generalmente, che non disordinano il corpo loro, ma tengonlo in modo ordinato, o che non altera, o, s'egli altera, a salute, e non a danno suo. E perch io parlo de' corpi misti, come sono le republiche e le stte, dico che quelle alterazioni sono a salute, che le riducano inverso i principii loro E per quelle sono meglio ordinate, ed hanno pi lunga vita, che mediante gli ordini suoi si possono spesso rinnovare; ovvero che, per qualche accidente fuori di detto ordine, vengono a detta rinnovazione. Ed cosa pi chiara che la luce, che, non si rinnovando, questi corpi non durano.

Il modo del rinnovargli, , come detto, ridurgli verso e' principii suoi. Perch tutti e' principii delle stte, e delle republiche e de' regni, conviene che abbiano in s qualche bont, mediante la quale ripiglio la prima riputazione ed il primo augumento loro. E perch nel processo del tempo quella bont si corrompe, se non interviene cosa che la riduca al segno, ammazza di necessit quel corpo. E questi dottori di medicina dicono, parlando de' corpi degli uomini, "quod quotidie aggregatur aliquid, quod quandoque indiget curatione". Questa riduzione verso il principio, parlando delle republiche, si fa o per accidente estrinseco o per prudenza intrinseca. Quanto al primo, si vede come egli era necessario che Roma fussi presa dai Franciosi, a volere che la rinascesse e rinascendo ripigliasse nuova vita e nuova virt; e ripigliasse la osservanza della religione e della giustizia, le quali in lei cominciavano a macularsi. Il che benissimo si comprende per la istoria di Livio, dove ei mostra che nel trar fuori lo esercito contro ai Franciosi e nel creare e' Tribuni con la potest consolare, non osservorono alcuna religiosa cerimonia. Cos medesimamente, non solamente non punirono i tre Fabii, i quali "contra ius gentium" avevano combattuto contro ai Franciosi, ma gli crearono Tribuni. E debbesi facilmente presuppore, che dell'altre constituzioni buone, ordinate da Romolo e da quegli altri principi prudenti, si cominciasse a tenere meno conto che non era ragionevole e necessario a mantenere il vivere libero. Venne, dunque, questa battitura estrinseca, acciocch tutti gli ordini di quella citt si ripigliassono, e si mostrasse a quel popolo, non solamente essere necessario mantenere la religione e la giustizia, ma ancora stimare i suoi buoni cittadini, e fare pi conto della loro virt che di quegli commodi che e' paresse loro mancare, mediante le opere loro. Il che si vede che successe appunto; perch, subito ripresa Roma, rinnovarono tutti gli ordini dell'antica religione loro; punirono quegli Fabii che avevano combattuto "contra ius gentium"; ed appresso tanto stimorono la virt e bont di Cammillo, che posposto, il Senato e gli altri, ogni invidia, rimettevano in lui tutto il pondo di quella republica. necessario, adunque, come detto, che gli uomini che vivono insieme in qualunque ordine, spesso si riconoschino, o per questi accidenti estrinseci o per gl'intrinseci. E quanto a questi, conviene che nasca o da una legge, la quale spesso rivegga il conto agli uomini che sono in quel corpo; o veramente da uno uomo buono che nasca fra loro, il quale con i suoi esempli e con le sue opere virtuose faccia il medesimo effetto che l'ordine.

Surge, adunque, questo bene nelle republiche, o per virt d'un uomo o per virt d'uno ordine. E quanto a questo ultimo, gli ordini che ritirarono la Republica romana verso il suo principio furono i Tribuni della plebe, i Censori, e tutte l'altre leggi che venivano contro all'ambizione ed alla insolenzia degli uomini. I quali ordini hanno bisogno di essere fatti vivi dalla virt d'uno cittadino, il quale animosamente concorre ad esequirli contro alla potenza di quegli che gli trapassano. Delle quali esecuzioni, innanzi alla presa di Roma da' Franciosi, furono notabili, la morte de' figliuoli di Bruto, la morte de' dieci cittadini, quella di Melio frumentario: dopo la presa di Roma, fu la morte di Manlio Capitolino, la morte del figliuolo di Manlio Torquato, la esecuzione di Papirio Cursore contro a Fabio suo Maestro de' cavalieri, l'accusa degli Scipioni. Le quali cose, perch erano eccessive e notabili, qualunque volta ne nasceva una, facevano gli uomini ritirare verso il segno: e quando le cominciarono ad essere pi rare, cominciarono anche a dare pi spazio agli uomini di corrompersi, e farsi con maggiore pericolo e pi tumulto. Perch dall'una all'altra di simili esecuzioni non vorrebbe passare, il pi, dieci anni: perch, passato questo tempo, gli uomini cominciano a variare con i costumi e trapassare le leggi; e se non nasce cosa per la quale si riduca loro a memoria la pena, e rinnuovisi negli animi loro la paura, concorrono tosto tanti delinquenti, che non si possono pi punire sanza pericolo. Dicevano, a questo proposito quegli che hanno governato lo stato di Firenze dal 1434 infino al 1494, come egli era necessario ripigliare ogni cinque anni lo stato, altrimenti, era difficile mantenerlo: e chiamavano ripigliare lo stato, mettere quel terrore e quella paura negli uomini che vi avevano messo nel pigliarlo, avendo in quel tempo battuti quegli che avevano, secondo quel modo del vivere, male operato. Ma come di quella battitura la memoria si spegne, gli uomini prendono ardire di tentare cose nuove, e di dire male; e per necessario provvedervi, ritirando quello verso i suoi principii. Nasce ancora questo ritiramento delle republiche verso il loro principio dalla semplice virt d'un uomo, sanza dependere da alcuna legge che ti stimoli ad alcuna esecuzione: nondimanco sono di tale riputazione e di tanto esemplo, che gli uomini buoni disiderano imitarle e gli cattivi si vergognano a tenere vita contraria a quelle. Quegli che in Roma particularmente feciono questi buoni effetti, furono Orazio Cocle, Scevola, Fabrizio, i dua Deci, Regolo Attilio, ed alcuni altri i quali con i loro esempli rari e virtuosi facevano in Roma quasi il medesimo effetto che si facessino le leggi e gli ordini. E se le esecuzioni soprascritte, insieme con questi particulari esempli, fossono almeno seguite ogni dieci anni in quella citt, ne seguiva di necessit che la non si sarebbe mai corrotta: ma come ei cominciorono a diradare l'una e l'altra di queste due cose, cominciarono a multiplicare le corrozioni. Perch dopo Marco Regolo non vi si vide alcuno simile esemplo: e bench in Roma surgessono i due Catoni, fu tanta distanza da quello a loro, ed intra loro dall'uno all'altro, e rimasono s soli, che non potettono con gli esempli buoni fare alcuna buona opera; e massime l'ultimo Catone, il quale, trovando in buona parte la citt corrotta, non potette con lo esemplo suo fare che i cittadini diventassino migliori. E questo basti quanto alle republiche.

Ma quanto alle stte, si vede ancora queste rinnovazloni essere necessarie, per lo esemplo della nostra religione, la quale, se non fossi stata ritirata verso il suo principio da Santo Francesco e da Santo Domenico sarebbe al tutto spenta. Perch questi, con la povert e con lo esemplo della vita di Cristo, la ridussono nella mente degli uomini, che gi vi era spenta: e furono s potenti gli ordini loro nuovi, che ei sono cagione che la disonest de' prelati e de' capi della religione non la rovinino; vivendo ancora poveramente, ed avendo tanto credito nelle confessioni con i popoli e nelle predicazioni, che ci dnno loro a intendere come egli male dir male del male, e che sia bene vivere sotto la obedienza loro, e, se fanno errore, lasciargli gastigare a Dio: e cos quegli fanno il peggio che possono, perch non temono quella punizione che non veggono e non credono. Ha, adunque, questa rinnovazione mantenuto, e mantiene, questa religione.

Hanno ancora i regni bisogno di rinnovarsi, e ridurre le leggi di quegli verso i suoi principii. E si vede quanto buono effetto fa questa parte nel regno di Francia; il quale regno vive sotto le leggi e sotto gli ordini pi che alcuno altro regno. Delle quali leggi ed ordini ne sono mantenitori i parlamenti, e massime quel di Parigi; le quali sono da lui rinnovate qualunque volta ei fa una esecuzione contro ad un principe di quel regno, e che ei condanna il Re nelle sue sentenze. Ed infino a qui si mantenuto per essere stato uno ostinato esecutore contro a quella Nobilit: ma qualunque volta ei ne lasciassi alcuna impunita, e che le venissono a multiplicare, sanza dubbio ne nascerebbe o che le si arebbono a correggere con disordine grande, o che quel regno si risolverebbe.

Conchiudesi, pertanto, non essere cosa pi necessaria in uno vivere comune, o setta o regno o republica che sia, che rendergli quella riputazione ch'egli aveva ne' principii suoi; ed ingegnarsi che siano o gli ordini buoni o i buoni uomini che facciano questo effetto, e non lo abbia a fare una forza estrinseca. Perch, ancora che qualche volta la sia ottimo rimedio, come fu a Roma, ella tanto pericolosa, che non in modo alcuno da disiderarla. E per dimostrare a qualunque, quanto le azioni degli uomini particulari facessono grande Roma, e causassino in quella citt molti buoni effetti, verr alla narrazione e discorso di quegli: intra e' termini de' quali questo terzo libro, ed ultima parte di questa prima Deca, si concluder. E bench le azioni degli re fossono grandi e notabili nondimeno, dichiarandole la istoria diffusamente, le lascer indietro; n parlereno altrimenti di loro, eccetto che di alcuna cosa che avessono operata appartenente alli loro privati commodi; e comincerenci da Bruto, padre della romana libert.

Capitolo 2

Come egli cosa sapientissima simulare in tempo la pazzia.

 

Non fu alcuno mai tanto prudente, n tanto estimato savio per alcuna sua egregia operazione, quanto merita d'esser tenuto Iunio Bruto nella sua simulazione della stultizia. Ed ancora che Tito Livio non esprima altro che una cagione che lo inducesse a tale simulazione, quale fu di potere pi sicuramente vivere e mantenere il patrimonio suo; nondimanco, considerato il suo modo di procedere, si pu credere che simulasse ancora questo per essere manco osservato, ed avere pi commodit di opprimere i Re e di liberare la sua patria, qualunque volta gliele fosse data occasione. E, che pensassi a questo, si vide, prima, nello interpetrare l'oracolo d'Apolline, quando simul cadere per baciare la terra, giudicando per quello avere favorevole gl'Iddii a' pensieri suoi; e dipoi, quando, sopra la morta Lucrezia, intra 'l padre ed il marito ed altri parenti di lei, ei fu il primo a trarle il coltello della ferita, e fare giurare ai circustanti, che mai sopporterebbono che, per lo avvenire, alcuno regnasse in Roma. Dallo esemplo di costui hanno ad imparare tutti coloro che sono male contenti d'uno principe: e debbono prima misurare e prima pesare le forze loro; e, se sono s potenti che possino scoprirsi suoi inimici e fargli apertamente guerra, debbono entrare per questa via, come manco pericolosa e pi onorevole. Ma se sono di qualit che a fargli guerra aperta le forze loro non bastino, debbono con ogni industria cercare di farsegli amici: ed a questo effetto, entrare per tutte quelle vie che giudicano essere necessarie, seguendo i piciti suoi, e pigliando dilettazione di tutte quelle cose che veggono quello dilettarsi. Questa dimestichezza, prima, ti fa vivere sicuro; e, sanza portare alcuno pericolo, ti fa godere la buona fortuna di quel principe insieme con esso lui, e ti arreca ogni comodit di sodisfare allo animo tuo. Vero che alcuni dicono che si vorrebbe con gli principi non stare s presso che la rovina loro ti coprisse, n s discosto che, rovinando quegli, tu non fosse a tempo a salire sopra la rovina loro: la quale via del mezzo sarebbe la pi vera, quando si potesse osservare; ma perch io credo che sia impossibile, conviene ridursi a' duoi modi soprascritti, cio o di allargarsi o di stringersi con loro. Chi fa altrimenti, e sia uomo, per la qualit sua, notabile, vive in continovo pericolo. N basta dire: - Io non mi curo di alcuna cosa, non disidero n onori n utili, io mi voglio vivere quietamente e sanza briga! - perch queste scuse sono udite e non accettate: n possono gli uomini che hanno qualit, eleggere lo starsi, quando bene lo eleggessono veramente e sanza alcuna ambizione, perch non loro creduto; talch, se si vogliono stare loro, non sono lasciati stare da altri. Conviene adunque fare il pazzo, come Bruto; ed assai si fa il matto, laudando, parlando, veggendo, faccendo cose contro allo animo tuo, per compiacere al principe. E poich noi abbiamo parlato della prudenza di questo uomo per ricuperare la libert a Roma, parlereno ora della sua severit nel mantenerla.

 

 

Capitolo 3

Come egli necessario, a volere mantenere una libert

acquistata di nuovo, ammazzare i figliuoli di Bruto.

 

Non fu meno necessaria che utile la severit di Bruto nel mantenere in Roma quella libert che elli vi aveva acquistata; la quale di uno esemplo raro in tutte le memorie delle cose: vedere il padre sedere pro tribunali, e non solamente condennare i suoi figliuoli a morte ma essere presente alla morte loro. E sempre si conoscer questo per coloro che le cose antiche leggeranno: come, dopo una mutazione di stato, o da republica in tirannide o da tirannide in republica necessaria una esecuzione memorabile contro a' nimici delle condizioni presenti. E chi piglia una tirannide e non ammazza Bruto, e chi fa uno stato libero e non ammazza i figliuoli di Bruto, si mantiene poco tempo. E perch di sopra discorso questo luogo largamente, mi rimetto a quello che allora se ne disse: solo ci addurr uno esemplo, stato, ne' d nostri e nella nostra patria, memorabile. E questo Piero Soderini, il quale si credeva superare con la pazienza e bont sua quello appetito che era ne' figliuoli di Bruto, di ritornare sotto un altro governo e se ne ingann. E bench quello, per la sua prudenza, conoscesse questa necessit; e che la sorte e l'ambizione di quelli che lo urtavano, gli dessi occasione a spegnerli; nondimeno non volse mai l'animo a farlo. Perch, oltre al credere di potere con la pazienza e con la bont estinguere i mali omori, e con i premii verso qualcuno consummare qualche sua inimicizia; giudicava (e molte volte ne fece con gli amici fede) che, a volere gagliardamente urtare le sue opposizioni, e battere suoi avversari, gli bisognava pigliare istraordinaria autorit, e rompere con le leggi la civile equalit: la quale cosa, ancora che dipoi non fosse da lui usata tirannicamente, arebbe tanto sbigottito l'universale, che non sarebbe mai poi concorso, dopo la morte di quello, a rifare un gonfalonieri a vita; il quale ordine elli giudicava fosse bene augumentare e mantenere. Il quale rispetto era savio e buono: nondimeno, e' non si debbe mai lasciare scorrere un male, rispetto ad uno bene, quando quel bene facilmente possa essere, da quel male, oppressato. E doveva credere che, avendosi a giudicare l'opere sue e la intenzione sua dal fine, quando la fortuna e la vita l'avessi accompagnato, che poteva certificare ciascuno, come, quello l'aveva fatto, era per salute della patria, e non per ambizione sua; e poteva regolare le cose in modo, che uno suo successore non potesse fare per male quello che elli avessi fatto per bene. Ma lo ingann la prima opinione, non conoscendo che la malignit non doma da tempo n placata da alcuno dono. Tanto che, per non sapere somigliare Bruto, e' perd, insieme con la patria sua, lo stato e la riputazione. E come egli cosa difficile salvare uno stato libero, cos difficile salvarne uno regio; come nel sequente capitolo si mosterr.

 

 

Capitolo 4

Non vive sicuro uno principe in uno principato,

mentre vivono coloro che ne sono stati spogliati.

 

La morte di Tarquinio Prisco causata dai figliuoli di Anco, e la morte di Servio Tullo causata da Tarquinio Superbo, mostra quanto difficil sia, e pericoloso, spogliare uno del regno, e quello lasciare vivo, ancora che cercassi con merito guadagnarselo. E vedesi come Tarquinio Prisco fu ingannato da parergli possedere quel regno giuridicamente, essendogli stato dato dal Popolo e confermato dal Senato: n credette che ne' figliuoli di Anco potesse tanto lo sdegno, che non avessono a contentarsi di quello che si contentava tutta Roma. E Servio Tullo s'ingann, credendo potere con nuovi meriti guadagnarsi i figliuoli di Tarquinio. Dimodoch, quanto al primo, si pu avvertire ogni principe, che non viva mai sicuro del suo principato, finch vivono coloro che ne sono stati spogliati. Quanto al secondo, si pu ricordare ad ogni potente, che mai le ingiurie vecchie furono cancellate da' beneficii nuovi; e, tanto meno, quanto il beneficio nuovo minore che non stata la ingiuria. E sanza dubbio, Servio Tullo fu poco prudente a credere che i figliuoli di Tarquinio fussono pazienti ad essere generi di colui di chi e' giudicavano dovere essere re. E questo appitito del regnare tanto grande, che non solamente entra ne' petti di coloro a chi si aspetta il regno, ma di quelli a chi e' non si aspetta: come fu nella moglie di Tarquinio, giovane, figliuola di Servio; la quale, mossa da questa rabbia, contro ogni piat paterna, mosse il marito contro al padre a torgli la vita ed il regno: tanto stimava pi essere regina che figliuola di re. Se, adunque, Tarquinio Prisco e Servio Tullo, perderono il regno per non si sapere assicurare di coloro a chi ei lo avevano usurpato, Tarquinio Superbo lo perd per non osservare gli ordini degli antichi re: come nel sequente capitolo si mosterr.

 

 

Capitolo 5

Quello che fa perdere uno regno ad uno re che sia, di quello, ereditario.

 

Avendo Tarquinio Superbo morto Servio Tullo, e di lui non rimanendo eredi, veniva a possedere il regno sicuramente, non avendo a temere di quelle cose che avevano offeso i suoi antecessori. E, bench il modo dell'occupare il regno fosse stato istraordinario ed odioso, nondimeno quando elli avesse osservato gli antichi ordini delli altri re, sarebbe stato comportato, n si sarebbe concitato il Senato e la plebe contro di lui per torgli lo stato. Non fu, adunque, cacciato costui per avere Sesto suo figliuolo stuprata Lucrezia, ma per avere rotte le leggi del regno, e governatolo tirannicamente; avendo tolto al Senato ogni autorit, e ridottola a s proprio; e quelle faccende che ne' luoghi publici con sodisfazione del Senato romano si facevano, le ridusse a fare nel palazzo suo, con carico ed invidia sua; talch in breve tempo gli spoli Roma di tutta quella libert ch'ella aveva sotto gli altri re mantenuta. N gli bast farsi inimici i Padri, che si concit ancora, contro, la Plebe, affaticandola in cose mecaniche e tutte aliene da quello a che gli avevano adoperati i suoi antecessori: talch, avendo ripiena Roma di esempli crudeli e superbi, aveva disposto gi gli animi di tutti i Romani alla ribellione, qualunque volta ne avessono occasione. E, se lo accidente di Lucrezia non fosse venuto, come prima ne fosse nato un altro, arebbe partorito il medesimo effetto. Perch se Tarquinio fosse vissuto come gli altri re, e Sesto suo figliuolo avessi fatto quello errore, sarebbono Bruto e Collatino ricorsi a Tarquinio, per la vendetta contro a Sesto, e non al Popolo romano. Sappino adunque i principi, come a quella ora ei cominciano a perdere lo stato che cominciano a rompere le leggi, e quelli modi e quelle consuetudini che sono antiche, e sotto le quali lungo tempo gli uomini sono vivuti. E se, privati che ei sono dello stato, ei diventassono mai tanto prudenti che ei conoscessono con quanta facilit i principati si tenghino da coloro che saviamente si consigliano, dorrebbe molto pi loro tale perdita, ed a maggiore pena si condannerebbono, che da altri fossono condannati. Perch egli molto pi facile essere amato dai buoni che dai cattivi, ed ubidire alle leggi che volere comandare loro. E volendo intendere il modo avessono a tenere a fare questo, non hanno a durare altra fatica che pigliare per loro specchio la vita de' principi buoni, come sarebbe Timoleone Corintio, Arato Sicioneo, e simili: nella vita dei quali ei troveria tanta sicurt e tanta sodisfazione di chi regge e di chi retto, che doverrebbe venirgli voglia di imitargli, potendo facilmente, per le ragioni dette, farlo. Perch gli uomini, quando sono governati bene, non cercono n vogliono altra libert: come intervenne a' popoli governati dai dua prenominati; che gli costrinsono ad essere principi mentre che vissono, ancora che da quegli pi volte fosse tentato di ridursi in vita privata. E perch in questo, e ne' due antecedenti capitoli, si ragionato degli omori concitati contro a' principi, e delle congiure fatte da' figliuoli di Bruto contro alla patria, e di quelle fatte contro a Tarquinio Prisco ed a Servio Tullo; non mi pare cosa fuor di proposito, nel sequente capitolo, parlarne diffusamente, sendo materia degna d'essere notata da' principi e da' privati.

 

 

Capitolo 6

Delle congiure.

 

Ei non mi parso da lasciare indietro il ragionare delle congiure, essendo cosa tanto pericolosa ai principi ed ai privati; perch si vede per quelle molti pi principi avere perduta la vita e lo stato, che per guerra aperta. Perch il poter fare aperta guerra ad uno principe, conceduto a pochi: il poterli congiurare contro, concesso a ciascuno. Dall'altra parte, gli uomini privati non entrano in impresa pi pericolosa n pi temeraria di questa; perch la difficile e pericolosissima in ogni sua parte. Donde ne nasce che molte se ne tentino, e pochissime hanno il fine desiderato. Acciocch, adunque, i principi imparino a guardarsi da questi pericoli, e che i privati pi timidamente vi si mettino, anzi imparino ad essere contenti a vivere sotto quello imperio che dalla sorte stato loro proposto; io ne parler diffusamente, non lasciando indietro alcuno caso notabile in documento dell'uno e dell'altro. E veramente, quella sentenzia di Cornelio Tacito aurea, che dice: che gli uomini hanno ad onorare le cose passate e ad ubbidire alle presenti; e debbono desiderare i buoni principi, e, comunque ei si sieno fatti, tollerargli. E veramente, chi fa altrimenti, il pi delle volte rovina s e la sua patria.

Dobbiamo adunque, entrando nella materia, considerare prima contro a chi si fanno le congiure; e troverreno farsi o contro alla patria, o contro ad uno principe: delle quali due voglio che al presente ragioniamo; perch, di quelle che si fanno per dare una terra a' nimici che la assediano, o che abbino, per qualunque cagione, similitudine con questa, se n' parlato di sopra a sufficienza. E trattereno, in questa prima parte, di quelle contro al principe, e prima esaminereno le cagioni di esse: le quali sono molte, ma una ne importantissima pi che tutte le altre. E questa lo essere odiato dallo universale, perch il principe che si concitato questo universale odio, ragionevole che abbi de' particulari i quali da lui siano stati pi offesi, e che desiderino vendicarsi. Questo desiderio accresciuto loro da quella mala disposizione universale che veggono essergli concitata contro. Debbe, adunque, un principe fuggire questi carichi privati; e come debba fare a fuggirli, avendone altrove trattato, non ne voglio parlare qui; perch, guardandosi da questo, le semplice offese particulari gli faranno meno guerra. L'una, perch si riscontra rade volte in uomini che stimino tanto una ingiuria, che si mettino a tanto pericolo per vendicarla; l'altra, che, quando pure ei fossono d'animo e di potenza da farlo, sono ritenuti da quella benivolenza universale che veggono avere ad uno principe. Le ingiurie, conviene che siano nella roba, nel sangue o nell'onore. Di quelle del sangue sono pi pericolose le minacce che le esecuzioni; anzi, le minacce sono pericolosissime, e nelle esecuzioni non vi pericolo alcuno; perch chi morto non pu pensare alla vendetta; quelli che rimangono vivi, il pi delle volte ne lasciano il pensiero a te. Ma colui che minacciato, e che si vede costretto da una necessit o di fare o di patire, diventa uno uomo pericolosissimo per il principe: come nel suo luogo particularmente direno. Fuora di questa necessit, la roba e l'onore sono quelle due cose che offendono pi gli uomini che alcun'altra offesa, e dalle quali il principe si debbe guardare: perch e' non pu mai spogliare uno, tanto, che non gli rimanga uno coltello da vendicarsi; non pu mai tanto disonorare uno, che non gli resti uno animo ostinato alla vendetta. E degli onori che si tolgono agli uomini, quello delle donne importa pi; dopo questo, il vilipendio della sua persona. Questo arm Pausania contro a Filippo di Macedonia, questo ha armato molti altri contro a molti altri principi: e ne' nostri tempi Luzio Belanti non si mosse a congiurare contro a Pandolfo tiranno di Siena, se non per averli quello data e poi tolta per moglie una sua figliuola; come nel suo loco direno. La maggiore cagione che fece che i Pazzi congiurarono contro ai Medici, fu la eredit di Giovanni Bonromei, la quale fu loro tolta per ordine di quegli. Un'altra cagione ci , e grandissima, che fa gli uomini congiurare contro al principe; la quale il desiderio di liberare la patria, stata da quello occupata. Questa cagione mosse Bruto e Cassio contro a Cesare; questa ha mosso molti altri contro a' Falari, Dionisii, ed altri occupatori della patria loro. N pu, da questo omore, alcuno tiranno guardarsi, se non con diporre la tirannide. E perch non si truova alcuno che faccia questo, si truova pochi che non capitino male; donde nacque quel verso di Iuvenale:

 

Ad generum cereris sine caede et vulnere pauci

descendunt reges, et sicca morte tiranni.

 

I pericoli che si portano, come io dissi di sopra, nelle congiure, sono grandi, portandosi per tutti i tempi; perch in tali casi si corre pericolo nel maneggiarli, nello esequirli, ed esequiti che sono. Quegli che congiurano, o ei sono uno, o ei sono pi. Uno, non si pu dire che sia congiura, ma una ferma disposizione nata in uno uomo di ammazzare il principe. Questo solo, de' tre pericoli che si corrono nelle congiure, manca del primo; perch, innanzi alla esecuzione non porta alcuno pericolo, non avendo altri il suo secreto, n portando pericolo che torni il disegno suo all'orecchio del principe. Questa deliberazione cos fatta pu cadere in qualunque uomo, di qualunque sorte, grande, piccolo, nobile, ignobile, familiare e non familiare al principe; perch ad ognuno lecito qualche volta parlarli; ed a chi lecito parlare, lecito sfogare l'animo suo. Pausania, del quale altre volte si parlato, ammazz Filippo di Macedonia che andava al tempio, con mille armati d'intorno, ed in mezzo intra il figliuolo ed il genero. Ma costui fu nobile e cognito al principe. Uno spagnuolo, povero ed abietto, dette una coltellata in su el collo al re Ferrando, re di Spagna: non fu la ferita mortale, ma per questo si vide che colui ebbe animo e commodit a farlo. Uno dervis, sacerdote turchesco, trasse d'una scimitarra a Baisit, padre del presente Turco: non lo fer, ma ebbe pure animo e commodit a volerlo fare. Di questi animi fatti cos, se ne truova, credo, assai che lo vorrebbono fare, perch nel volere non pena n pericolo alcuno; ma pochi che lo facciano: ma di quelli che lo fanno, pochissimi o nessuno che non siano ammazzati in sul fatto; per non si truova chi voglia andare ad una certa morte. Ma lasciamo andare queste uniche volont, e veniamo alle congiure intra i pi. Dico, trovarsi nelle istorie, tutte le congiure essere fatte da uomini grandi, o familiarissimi del principe: perch gli altri, se non sono matti affatto, non possono congiurare; perch gli uomini deboli, e non familiari al principe, mancano di tutte quelle speranze e di tutte quelle commodit che si richiede alla esecuzione d'una congiura. Prima, gli uomini deboli non possono trovare riscontro di chi tenga loro fede; perch uno non pu consentire alla volont loro, sotto alcuna di quelle speranze che fa entrare gli uomini ne' pericoli grandi: in modo che, come ei si sono allargati in dua o in tre persone, ci trovono lo accusatore e rovinano: ma quando pure si fossono tanto felici che mancassino di questo accusatore, sono nella esecuzione intorniati da tale difficult, per non avere l'entrata facile al principe, che gli impossibile che in essa esecuzione ei non rovinino. Perch, se gli uomini grandi, e che hanno l'entrata facile, sono oppressi da quelle difficult che di sotto si diranno, conviene che in costoro quelle difficult sanza fine creschino. Pertanto gli uomini (perch, dove ne va la vita e la roba, non sono al tutto insani) quando e' si veggono deboli, se ne guardano; e quando egli hanno a noia uno principe, attendono a bestemmiarlo, ed aspettono che quelli che hanno maggiore qualit di loro, gli vendichino. E se pure si trovasse che alcuno di questi simili avessi tentato qualche cosa, si debbe laudare in loro la intenzione, e non la prudenza. Vedesi, pertanto, quelli che hanno congiurato, essere stati tutti uomini grandi, o familiari, del principe; de' quali molti hanno congiurato, mossi cos da troppi beneficii, come dalle troppe ingiurie: come fu Perennio contro a Commodo, Plauziano contro a Severo, Seiano contro a Tiberio. Costoro tutti furono dai loro imperadori constituiti in tanta ricchezza, onore e grado, che non pareva che mancasse loro, alla perfezione della potenza, altro che lo imperio; e di questo non volendo mancare, si mossono a congiurare contro al principe; ed ebbono le loro congiure tutte quel fine che meritava la loro ingratitudine: ancora che di queste simili ne' tempi pi freschi ne avessi buono fine quella di Iacopo di Appiano contro a messer Piero Gambacorti, principe di Pisa: il quale Iacopo, allevato e nutrito e fatto riputato da lui, gli tolse poi lo stato. Fu di queste quella del Coppola, ne' nostri tempi, contro il re Ferrando d'Aragona; il quale Coppola, venuto a tanta grandezza che non gli pareva gli mancassi se non il regno, per volere ancora quello, perd la vita. E veramente, se alcuna congiura contro ai principi, fatta da uomini grandi, dovesse avere buono fine, doverrebbe essere questa; essendo fatta da un altro re, si pu dire, e da chi ha tanta commodit di adempiere il suo disiderio: ma quella cupidit del dominare che gli accieca, gli accieca ancora nel maneggiare questa impresa; perch, se ei sapessono fare questa cattivit con prudenza, sarebbe impossibile non riuscisse loro. Debbe, adunque, uno principe che si vuole guardare dalle congiure, temere pi coloro a chi elli ha fatto troppi piaceri, che quelli a chi egli avesse fatte troppe ingiurie. Perch questi mancono di commodit, quelli ne abondano; e la voglia simile, perch gli cos grande o maggiore il desiderio del dominare, che non quello della vendetta. Debbono, pertanto, dare tanta autorit agli loro amici, che da quella al principato sia qualche intervallo, e che vi sia in mezzo qualche cosa da desiderare: altrimenti, sar cosa rada se non interverr loro, come a' principi soprascritti. Ma torniamo all'ordine nostro.

Dico che, avendo ad essere, quelli che congiurano, uomini grandi, e che abbino l'adito facile al principe, si ha a discorrere i successi di queste loro imprese quali siano stati, e vedere la cagione che gli ha fatti essere felici ed infelici. E come io dissi di sopra ci si truovano dentro, in tre tempi, pericoli: prima, in su 'l fatto e poi. Se ne truova poche che abbino buono esito, perch gli impossibile, quasi, passarli tutti felicemente. E cominciando a discorrere e' pericoli di prima, che sono i pi importanti, dico, come e' bisogna essere molto prudente, ed avere una gran sorte, che, nel maneggiare una congiura, la non si scuopra. E si scuoprono o per relazione, o per coniettura. La relazione nasce da trovare poca fede, o poca prudenza, negli uomini con chi tu la comunichi. La poca fede si truova facilmente, perch tu non puoi comunicarla se non con tuoi fidati, che per tuo amore si mettino alla morte, o con uomini che siano male contenti del principe. De' fidati se ne potrebbe trovare uno o due; ma, come tu ti distendi in molti, impossibile gli truovi: dipoi, e' bisogna bene che la benivolenza che ti portano sia grande, a volere che non paia loro maggiore il pericolo e la paura della pena. Dipoi gli uomini s'ingannano, il pi delle volte, dello amore che tu giudichi che uno uomo ti porti; n te ne puoi mai assicurare, se tu non ne fai esperienza: e farne esperienza in questo pericolosissimo. E sebbene ne avessi fatto esperienza in qualche altra cosa pericolosa dove e' ti fossono stati fedeli, non puoi da quella fede misurare questa, passando, questo, di gran lunga, ogni altra qualit di pericolo. Se misuri la fede dalla mala contentezza che uno abbia del principe, in questo tu ti puoi facilmente ingannare: perch, subito che tu hai manifestato a quel male contento l'animo tuo, tu gli di materia di contentarsi, e conviene bene, o che l'odio sia grande, o che l'autorit tua sia grandissima a mantenerlo in fede.

Di qui nasce che assai ne sono rivelate, ed oppresse ne' primi principii loro; e che, quando una stata infra molti uomini segreta lungo tempo, tenuta cosa miracolosa: come fu quella di Pisone contro a Nerone, e, ne' nostri tempi, quella de' Pazzi contro a Lorenzo e Giuliano de' Medici: delle quali erano consapevoli pi che cinquanta uomini; e condussonsi, alla esecuzione, a scoprirsi. Quanto a scoprirsi per poca prudenza, nasce quando uno congiurato ne parla poco cauto, in modo che uno servo o altra terza persona t'intenda, come intervenne ai figliuoli di Bruto, che, nel maneggiare la cosa con i legati di Tarquinio, furono intesi da uno servo, che gli accus: ovvero quando per leggerezza ti viene communicata a donna o a fanciullo che tu ami o a simile leggieri persona; come fece Dimmo, uno de' congiurati con Filota contro a Alessandro Magno, il quale communic la congiura a Nicomaco, fanciullo amato da lui; il quale subito la disse a Ciballino suo fratello, e Ciballino ad el re. Quanto a scoprirsi per coniettura, ce n' in esemplo la congiura Pisoniana contro a Nerone; nella quale Scevino, uno de' congiurati, il d dinanzi ch'egli aveva ad ammazzare Nerone, fece testamento, ordin che Milichio, suo liberto, facessi arrotare un suo pugnale vecchio e rugginoso, liber tutti i suoi servi e dette loro danari, fece ordinare fasciature da legare ferite: per le quali conietture accortosi Milichio della cosa, lo accus a Nerone. Fu preso Scevino, e con lui Natale un altro congiurato, i quali erano stati veduti parlare a lungo e di segreto insieme, il d davanti; e non si accordando del ragionamento avuto, furono forzati a confessare il vero talch la congiura fu scoperta, con rovina di tutti i congiurati.

Da queste cagioni dello scoprire le congiure impossibile guardarsi che, per malizia, per imprudenza o per leggerezza, la non si scuopra, qualunque volta i conscii d'essa passono il numero di tre o di quattro. E come e' ne preso pi che uno, impossibile non riscontrarla, perch due non possano essere convenuti insieme di tutti e' ragionamenti loro. Quando e' ne sia preso solo uno, che sia uomo forte, pu elli, con la fortezza dello animo, tacere i congiurati; ma conviene che i congiurati non abbiano meno animo di lui a stare saldi, e non si scoprire con la fuga: perch da una parte che l'animo manca o da chi sostenuto o da chi libero, la congiura scoperta. Ed rado lo esemplo indotto da Tito Livio nella congiura fatta contro a Girolamo, re di Siracusa; dove, sendo Teodoro, uno de' congiurati, preso, cel con una virt grande tutti i congiurati, ed accus gli amici del re, e dall'altra parte, i congiurati confidarono tanto nella virt di Teodoro, che nessuno si part di Siracusa, o fece alcuno segno di timore. Passasi, adunque, per tutti questi pericoli nel maneggiare una congiura innanzi che si venga alla esecuzione di essa: i quali volendo fuggire, ci sono questi rimedi. Il primo ed il pi vero, anzi, a dire meglio, unico, non dare tempo ai congiurati di accusarti; e comunicare loro la cosa quando tu la vuoi fare, e non prima. Quelli che hanno fatto cos, fuggono al certo i pericoli che sono nel praticarla, e, il pi delle volte, gli altri; anzi hanno tutte avuto felice fine: e qualunque prudente arebbe commodit di governarsi in questo modo. Io voglio che mi basti addurre due esempli.

Nelemato, non potendo sopportare la tirannide di Aristotimo, tiranno di Epiro, ragun in casa sua molti parenti ed amici, e, confortatogli a liberare la patria, alcuni di loro chiesono tempo a diliberarsi ed ordinarsi, donde Nelemato fece a' suoi servi serrare la casa, ed a quelli che esso aveva chiamati disse: - O voi giurerete di andare ora a fare questa esecuzione, o io vi dar tutti prigioni ad Aristotimo -. Dalle quali parole mossi coloro, giurarono; ed andati, sanza intermissione di tempo, felicemente l'ordine di Nelemato esequirono. Avendo uno Mago, per inganno, occupato il regno de' Persi, ed avendo Ortano, uno de' grandi uomini del regno, intesa e scoperta la fraude, lo confer con sei altri principi di quello stato, dicendo come gli era da vendicare il regno dalla tirannide di quel Mago; e domandando, alcuno di loro, tempo, si lev Dario, uno de' sei chiamati da Ortano, e disse: - O noi andreno ora a fare questa esecuzione, o io vi andr ad accusare tutti -. E cos d'accordo levatisi, sanza dare tempo ad alcuno di pentirsi, esequirono felicemente i disegni loro. Simile a questi due esempli ancora il modo che gli Etoli tennono ad ammazzare Nabide, tiranno spartano; i quali mandarono Alessameno loro cittadino, con trenta cavagli e dugento fanti, a Nabide, sotto colore di mandargli aiuto; ed il segreto solamente comunicorono ad Alessameno; ed agli altri imposono che lo ubbidissoro in ogni e qualunque cosa, sotto pena di esilio. And costui in Sparta, e non comunic mai la commissione sua se non quando e' la volle esequire: donde gli riusc d'ammazzarlo. Costoro, adunque per questi modi, hanno fuggiti quelli pericoli che si portano nel maneggiare le congiure; e chi imiter loro, sempre gli fuggir.

E che ciascuno possa fare come loro io ne voglio dare lo esemplo di Pisone preallegato di sopra. Era Pisone grandissimo e riputatissimo uomo, e familiare di Nerone, ed in chi elli confidava assai. Andava Nerone ne' suoi orti spesso a mangiare seco. Poteva, adunque, Pisone farsi amici uomini, d'animo e di cuore e di disposizione atti ad una tale esecuzione (il che ad uno grande facilissimo); e quando Nerone fosse stato ne' i suoi orti, comunicare loro la cosa, e con le parole convenienti inanimarli a fare quello che loro non avevano tempo a ricusare, e che era impossibile che non riuscisse. E cos, se si esamineranno tutte l'altre, si troverr poche non essere potute condursi nel medesimo modo: ma gli uomini, per l'ordinario, poco intendenti delle azioni del mondo, spesso fanno errori gravissimi, e tanto maggiori in quelle che hanno pi dello istraordinario, come questa. Debbesi, adunque, non comunicare mai la cosa se non necessitato ed in sul fatto; e se pure la vuoi comunicare, comunicarla ad uno solo, del quale abbia fatto lunghissima isperienza, o che sia mosso dalle medesime cagioni che tu. Trovarne uno cos fatto molto pi facile che trovarne pi, e per questo vi meno pericolo, dipoi, quando pure ei ti ingannassi, vi qualche rimedio a difendersi, che non dove siano congiurati assai: perch da alcuno prudente ho sentito dire che con uno si pu parlare ogni cosa, perch tanto vale, se tu non ti lasci condurre a scrivere di tua mano, il s dell'uno quanto il no dell'altro; e dallo scrivere ciascuno debbe guardarsi come da uno scoglio, perch non cosa che pi facilmente ti convinca, che lo scritto di tua mano. Plauziano, volendo fare ammazzare Severo imperadore ed Antonino suo figliuolo, commisse la cosa a Saturnino tribuno; il quale, volendo accusarlo e non ubbidirlo, e dubitando che, venendo all'accusa, e' non fussi pi creduto a Plauziano che a lui, gli chiese una cedola di sua mano, che facessi fede di questa commissione; la quale Plauziano, accecato dall'ambizione, gli fece: donde segu che fu, dal tribuno, accusato e convinto; e sanza quella cedola, e certi altri contrassegni, sarebbe stato Plauziano superiore; tanto audacemente negava. Truovasi, adunque, nell'accusa d'uno, qualche rimedio, quando tu non puoi essere da una scrittura, o altri contrasegni, convinto: da che uno si debbe guardare.

Era nella congiura Pisoniana una femina chiamata Epicari, stata per lo adietro amica di Nerone; la quale giudicando che fussi a proposito mettere tra i congiurati uno capitano di alcune trireme che Nerone teneva per sua guardia, gli comunic la congiura ma non i congiurati. Donde, rompendogli quello capitano la fede ed accusandola a Nerone, fu tanta l'audacia di Epicari nel negarlo, che Nerone, rimaso confuso, non la condann. Sono, adunque, nel comunicare la cosa ad uno solo, due pericoli: l'uno, che non ti accusi in pruova; l'altro, che non ti accusi convinto e constretto dalla pena, sendo egli preso per qualche sospetto o per qualche indizio avuto di lui. Ma nell'uno e nell'altro di questi due pericoli qualche rimedio, potendosi negare l'uno, allegandone l'odio che colui avesse teco; e negare l'altro, allegandone la forza che lo constringesse a dire le bugie. , adunque, prudenza non comunicare la cosa a nessuno, ma fare secondo gli esempli soprascritti; o, quando pure la comunichi, non passare uno; dove, se qualche pi pericolo, ve n' meno assai che comunicarla con molti. Propinquo a questo modo quando una necessit ti costringa a fare quello al principe che tu vedi che 'l principe vorrebbe fare a te, la quale sia tanto grande che non ti dia tempo se non a pensare ad assicurarti. Questa necessit conduce quasi sempre la cosa al fine desiderato: ed a provarlo voglio bastino due esempli.

Aveva Commodo, imperadore, Leto ed Eletto, capi de' soldati pretoriani, ed intra' primi amici e familiari suoi; aveva Marzia in nelle prime sue concubine o amiche; e perch egli era da costoro qualche volta ripreso de' modi con i quali maculava la persona sua e lo Imperio, diliber di farli morire; e scrisse in su una listra Marzia, Leto ed Eletto ed alcuni altri che voleva, la notte sequente fare morire; e quella listra messe sotto il capezzale del suo letto. Ed essendo ito a lavarsi, un fanciullo favorito da lui, scherzando per camera e su pel letto, gli venne trovato questa listra, ed uscendo fuora con essa in mano, riscontr Marzia; la quale gliene tolse, e, lettala, e veduto il contenuto di essa, subito mand per Leto ed Eletto; e conosciuto tutti a tre il pericolo in quale erano, deliberorono prevenire; e, sanza mettere tempo in mezzo, la notte sequente ammazzorono Commodo. Era Antonino Caracalla, imperadore, con gli eserciti suoi in Mesopotamia, ed aveva per suo prefetto Macrino, uomo pi civile che armigero; e, come avviene ch'e' principi non buoni temono sempre che altri non operi, contro a loro, quello che par loro meritare, scrisse Antonino a Materniano suo amico a Roma, che intendessi dagli astrologi, s'egli era alcuno che aspirasse allo imperio, e gliene avvisasse. Donde Materniano gli scrisse, come Macrino era quello che vi aspirava; e pervenuta la lettera, prima alle mani di Macrino che dello imperadore, e, per quella, conosciuta la necessit o d'ammazzare lui prima che nuova lettera venisse da Roma o di morire, commisse a Marziale centurione, suo fidato, ed a chi Antonino aveva morto, pochi giorni innanzi uno fratello, che lo ammazzasse: il che fu esequito da lui felicemente. Vedesi, adunque, che questa necessit che non d tempo, fa quasi quel medesimo effetto che il modo, da me sopra detto, che tenne Nelemato di Epiro. Vedesi ancora quello che io dissi, quasi nel principio di questo discorso, come le minacce offendono pi i principi, e sono cagione di pi efficace congiure che le offese: da che uno principe si debbe guardare; perch gli uomini si hanno o accarezzare o assicurarsi di loro; e non li ridurre mai in termine che gli abbiano a pensare che bisogni loro o morire o far morire altrui.

Quanto ai pericoli che si corrono in su la esecuzione, nascono questi o da variare l'ordine, o da mancare l'animo a colui che esequisce, o da errore che lo esecutore faccia per poca prudenza, o per non dare perfezione alla cosa, rimanendo vivi parte di quelli che si disegnavano ammazzare. Dico, adunque, come e' non cosa alcuna che faccia tanto sturbo o impedimento a tutte le azioni degli uomini, quanto in uno instante, sanza avere tempo, avere a variare un ordine e a pervertirlo da quello che si era ordinato prima. E se questa variazione fa disordine in cosa alcuna, lo fa nelle cose della guerra, ed in cose simili a quelle di che noi parliano; perch in tali azioni non cosa tanto necessaria a fare, quanto che gli uomini fermino gli animi loro ad esequire quella parte che tocca loro: e se gli uomini hanno volto la fantasia per pi giorni ad uno modo e ad uno ordine, e quello subito varii, impossibile che non si perturbino tutti, e non rovini ogni cosa; in modo che gli meglio assai esequire una cosa secondo l'ordine dato, ancora che vi si vegga qualche inconveniente, che non , per volere cancellare quello, entrare in mille inconvenienti. Questo interviene quando e' non si ha tempo a riordinarsi; perch, quando si ha tempo, si pu l'uomo governare a suo modo.

La congiura de' Pazzi contro a Lorenzo e Giuliano de' Medici, nota. L'ordine dato era che dessino desinare al cardinale di San Giorgio, ed a quel desinare ammazzargli: dove si era distribuito chi aveva a ammazzargli, chi aveva a pigliare il palazzo, e chi correre la citt e chiamare alla libert il popolo. Accadde che, essendo nella chiesa cattedrale in Firenze i Pazzi, i Medici ed il Cardinale ad uno ufficio solenne, s'intese come Giuliano la mattina non vi desinava: il che fece che i congiurati s'adunorono insieme e quello che gli avevano a fare in casa i Medici, deliberarono di farlo in chiesa. Il che venne a perturbare tutto l'ordine, perch Giovambatista da Montesecco non volle concorrere all'omicidio, dicendo non lo volere fare in chiesa: talch gli ebbono a mutare nuovi ministri in ogni azione; i quali, non avendo tempo a fermare l'animo, fecero tali errori, che in essa esecuzione furono oppressi.

Manca l'animo a chi esequisce, o per riverenza, o per propria vilt dello esecutore. tanta la maest e la riverenza che si tira dietro la presenza d'uno principe, ch'egli facil cosa o che mitighi o che gli sbigottisca uno esecutore. A Mario, essendo preso da' Minturnesi, fu mandato uno servo che lo ammazzasse; il quale, spaventato dalla presenza di quello uomo e dalla memoria del nome suo, divenuto vile, perd ogni forza ad ucciderlo. E se questa potenza in uomo legato e prigione, ed affogato nella mala fortuna; quanto si pu tenere che la sia maggiore in uno principe sciolto, con la maest degli ornamenti, della pompa e della comitiva sua! talch ti pu questa tale pompa spaventare, o vero con qualche grata accoglienza raumiliare. Congiurorono alcuni contro a Sitalce re di Tracia, deputorono il d della esecuzione; convennono al luogo diputato, dove era il principe; nessuno di loro si mosse per offenderlo: tanto che si partirono sanza avere tentato alcuna cosa e sanza sapere quello che se gli avessi impediti; ed incolpavano l'uno l'altro. Caddono in tale errore pi volte; tanto che, scopertasi la congiura, portarono pena di quello male che potettono e non vollono fare. Congiurarono contro a Alfonso, duca di Ferrara, due sui frategli, ed usarono mezzano Giannes, prete e cantore del duca; il quale pi volte, a loro richiesta, condusse il duca fra loro, talch gli avevano arbitrio d'ammazzarlo: nondimeno, mai nessuno di loro non ard di farlo; tanto che, scoperti, portarono la pena della cattivit e poca prudenza loro. Questa negligenza non potette nascere da altro, se non che convenne o che la presenza gli sbigottisse o che qualche umanit del principe gli umiliasse. Nasce in tali esecuzioni inconveniente o errore per poca prudenza o per poco animo; perch l'una e l'altra di queste due cose ti invasa, e portato da quella confusione di cervello ti fa dire e fare quello che tu non debbi.

E che gli uomini invasino e si confondino, non lo pu meglio dimostrare Tito Livio quando discrive di Alessameno etolo, quando ei volle ammazzare Nabide spartano, di che abbiamo di sopra parlato; che, venuto il tempo della esecuzione, scoperto che egli ebbe ai suoi quello che si aveva a fare, dice Tito Livio queste parole: "Collegit et ipse animum, confusum tantae cogitatione rei". Perch gli impossibile che alcuno, ancora che di animo fermo, ed uso alla morte degli uomini e adoperare il ferro, non si confunda. Per si debba eleggere uomini isperimentati in tali maneggi, ed a nessuno altro credere, ancora che tenuto animosissimo. Perch, dello animo nelle cose grandi, sanza averne fatto isperienza, non sia alcuno che se ne prometta cosa certa. Pu, adunque, questa confusione o farti cascare l'armi di mano, o farti dire cose che facciano il medesimo effetto. Lucilla, sirocchia di Commodo, ordin che Quinziano lo ammazzassi. Costui aspett Commodo nella entrata dello anfiteatro e con un pugnale ignudo accostandosegli, grid: - Questo ti manda il Senato! - le quali parole fecero che fu prima preso ch'egli avesse calato il braccio per ferire. Messer Antonio da Volterra, diputato, come di sopra si disse, ad ammazzare Lorenzo de' Medici, nello accostarsegli disse: - Ah traditore! - la quale voce fu la salute di Lorenzo, e la rovina di quella congiura. Pu non si dare perfezione alla cosa, quando si congiura contro ad uno capo, per le cagioni dette: ma facilmente non se le d perfezione quando si congiura contro a due capi, anzi tanto difficile, che gli quasi impossibile che la riesca. Perch fare una simile azione in uno medesimo tempo in diversi luoghi, quasi impossibile; perch in diversi tempi non si pu fare, non volendo che l'una guasti l'altra. In modo che, se il congiurare contro ad uno principe cosa dubbia, pericolosa e poco prudente; congiurare contro a due, al tutto vana e leggieri. E se non fosse la riverenza dello istorico, io non crederrei mai che fosse possibile quello che Erodiano dice di Plauziano, quando ei commisse a Saturnino centurione, che elli solo ammazzasse Severo ed Antonino, abitanti in diversi paesi: perch la cosa tanto discosto da il ragionevole che altro che questa autorit non me lo farebbe credere.

Congiurorono certi giovani ateniesi contro a Diocle ed Ippia, tiranni di Atene. Ammazzarono Diocle ed Ippia, che rimase, lo vendic. Chione e Leonide eraclensi e discepoli di Platone, congiurarono contro a Clearco e Satiro, tiranni; ammazzarono Clearco; e Satiro, che rest vivo, lo vendic. Ai Pazzi, pi volte da noi allegati, non successe di ammazzare se non Giuliano. In modo che di simili congiure contro a pi capi, se ne debbe astenere ciascuno, perch non si fa bene n a s n alla patria n ad alcuno: anzi quelli che rimangono, diventono pi insopportabili e pi acerbi; come sa Firenze, Atene ed Eraclea, state da me preallegate. vero che la congiura che Pelopida fece per liberare Tebe sua patria, ebbe tutte le difficult: nondimeno ebbe felicissimo fine; perch Pelopida non solamente congiur contro a due tiranni, ma contro a dieci, non solamente non era confidente e non gli era facile la entrata a e' tiranni, ma era ribello: nondimanco ei pot venire in Tebe, ammazzare i tiranni, e liberare la patria. Pure nondimanco fece tutto, con l'aiuto d'uno Carione, consigliere de' tiranni, dal quale ebbe l'entrata facile alla esecuzione sua. Non sia alcuno, nondimanco, che pigli lo esemplo da costui: perch come ella fu impresa impossibile, e cosa maravigliosa a riuscire, cos fu, ed tenuta dagli scrittori, i quali la celebrano, come cosa rara e quasi sanza esemplo. Pu essere interrotta tale esecuzione da una falsa immaginazione o da uno accidente imprevisto che nasca in su 'l fatto. La mattina che Bruto e gli altri congiurati volevano ammazzare Cesare, accadde che quello parl a lungo con Gneo Popilio Lenate, uno de' congiurati; e vedendo gli altri questo lungo parlamento, dubitarono che detto Popilio non rivelasse a Cesare la congiura: e furono per tentare di ammazzare Cesare quivi, e non aspettare che fosse in Senato; ed arebbonlo fatto, se non che il ragionamento fin, e, visto non fare a Cesare moto alcuno istraordinario, si rassicurarono. Sono queste false immaginazioni da considerarle, ed avervi, con prudenza, rispetto; e tanto pi, quanto egli facile ad averle. Perch chi ha la sua conscienza macchiata, facilmente crede che si parli di lui: puossi sentire una parola, detta ad uno altro fine, che ti faccia perturbare l'animo, e credere che la sia detta sopra il caso tuo, e farti o con la fuga scoprire la congiura da te, o confondere l'azione con acceleralla fuora di tempo. E questo tanto pi facilmente nasce, quando ei sono molti ad essere conscii della congiura.

Quanto alli accidenti, perch sono inisperati, non si pu se non con gli esempli mostrarli, e fare gli uomini cauti secondo quegli. Luzio Belanti da Siena, del quale di sopra abbiamo fatto menzione, per lo sdegno aveva contro a Pandolfo, che gli aveva tolto la figliuola che prima gli aveva data per moglie, diliber d'ammazzarlo, ed elesse questo tempo. Andava Pandolfo quasi ogni giorno a vicitare uno suo parente infermo, e nello andarvi passava dalle case di Iulio. Costui, adunque, veduto questo, ordin di avere i suoi congiurati in casa ad ordine per ammazzare Pandolfo nel passare; e, messisi dentro all'uscio armati, teneva uno alla finestra, che, passando Pandolfo, quando ei fussi presso all'uscio, facessi un cenno. Accadde che, venendo Pandolfo, ed avendo fatto colui il cenno, riscontr uno amico che lo ferm; ed alcuni di quelli che erano con lui, vennono a trascorrere innanzi; e veduto, e sentito il romore d'arme, scopersono l' agguato; in modo che Pandolfo si salv, e Iulio ed i compagni si ebbono a fuggire di Siena. Imped quello accidente di quello scontro quella azione, e fece a Iulio rovinare la sua impresa. Ai quali accidenti, perch e' son rari, non si pu fare alcuno rimedio. bene necessario esaminare tutti quegli che possono nascere, e rimediarvi.

Restaci al presente, solo a disputare de' pericoli che si corrono dopo la esecuzione: i quali sono solamente uno; e questo , quando e' rimane alcuno che vendichi il principe morto. Possono, adunque, rimanere suoi frategli, o suoi figliuoli, o altri aderenti, a chi si aspetti il principato; e possono rimanere o per tua negligenzia o per le cagioni dette di sopra, che faccino questa vendetta: come intervenne a Giovanni Andrea da Lampognano, il quale, insieme con i suoi congiurati, avendo morto il duca di Milano, ed essendo rimaso uno suo figliuolo e due suoi frategli, furono a tempo a vendicare il morto. E veramente, in questi casi, i congiurati sono scusati, perch non ci hanno rimedio; ma quando ne rimane vivo alcuno, per poca prudenza, o per loro negligenza, allora che non meritano scusa. Ammazzarono alcuni congiurati Forlivesi il conte Girolamo loro signore, presono la moglie, ed i suoi figliuoli, che erano piccoli; e non parendo loro potere vivere sicuri se non si insignorivano della fortezza, e non volendo il castellano darla loro, Madonna Caterina (che cos si chiamava la contessa) promisse ai congiurati, che, se la lasciavano entrare in quella, di farla consegnare loro, e che ritenessono a presso di loro i suoi figliuoli per istatichi. Costoro, sotto questa fede, ve la lasciarono entrare; la quale, come fu dentro, dalle mura rimprover loro la morte del marito, e minacciogli d'ogni qualit di vendetta. E per mostrare che de' suoi figliuoli non si curava, mostr loro le membra genitali, dicendo che aveva ancora il modo a rifarne. Cos costoro, scarsi di consiglio e tardi avvedutisi del loro errore, con uno perpetuo esilio patirono pena della poca prudenza loro. Ma di tutti i pericoli che possono dopo la esecuzione avvenire, non ci il pi certo n quello che sia pi da temere, che quando il popolo amico del principe che tu hai morto: perch a questo i congiurati non hanno rimedio alcuno, perch e' non se ne possono mai assicurare. In esemplo ci Cesare, il quale, per avere il popolo di Roma amico, fu vendicato da lui; perch, avendo cacciati i congiurati, di Roma, fu cagione che furono tutti, in varii tempi e in varii luoghi, ammazzati.

Le congiure che si fanno contro alla patria sono meno pericolose, per coloro che le fanno, che non sono quelle contro ai principi: perch nel maneggiarle vi sono meno pericoli che in quelle; nello esequirle vi sono quelli medesimi; dopo la esecuzione non ve ne alcuno. Nel maneggiarle non vi pericoli molti: perch uno cittadino pu ordinarsi alla potenza sanza manifestare lo animo e disegno suo ad alcuno; e, se quegli suoi ordini non gli sono interrotti, seguire felicemente la impresa sua; se gli sono interrotti con qualche legge, aspettare tempo ed entrare per altra via. Questo s'intende in una republica dove qualche parte di corrozione; perch, in una non corrotta, non vi avendo luogo nessuno principio cattivo, non possono cadere in uno suo cittadino questi pensieri. Possono, adunque, i cittadini per molti mezzi e molte vie aspirare al principato dove e' non portano pericolo di essere oppressi: s perch le republiche sono pi tarde che uno principe, dubitano meno, e per questo sono manco caute; s perch hanno pi rispetto ai loro cittadini grandi, e per questo quelli sono pi audaci e pi animosi a fare loro contro. Ciascuno ha letto la congiura di Catilina scritta da Sallustio, e sa come, poi che la congiura fu scoperta, Catilina non solamente stette in Roma, ma venne in Senato, e disse villania al Senato ed al Consolo, tanto era il rispetto che quella citt aveva ai suoi cittadini. E partito che fu di Roma, e ch'egli era di gi in su gli eserciti, non si sarebbe preso Lentulo e quelli altri, se non si fossoro avute lettere di loro mano che gli accusavano manifestamente. Annone, grandissimo cittadino in Cartagine, aspirando alla tirannide, aveva ordinato nelle nozze d'una sua figliuola di avvelenare tutto il Senato, e dipoi farsi principe. Questa cosa intesasi, non vi fece il Senato altra provisione che d'una legge, la quale poneva termini alle spese de' conviti e delle nozze: tanto fu il rispetto che gli ebbero alle qualit sue. bene vero, che nello esequire una congiura contro alla patria, vi difficult pi, e maggiori pericoli, perch rade volte che bastino le tue forze proprie conspirando contro a tanti; e ciascuno non principe d'uno esercito, come era Cesare o Agatocle o Cleomene, e simili, che hanno ad un tratto e con le forze loro occupato la patria. Perch a simili la via assai facile ed assai sicura, ma gli altri, che non hanno tante aggiunte di forze, conviene che facciano le cose, o con inganno ed arte, o con forze forestiere. Quanto allo inganno ed all'arte, avendo Pisistrato ateniese vinti i Megarensi, e per questo acquistata grazia nel popolo, usc una mattina fuora, ferito, dicendo che la Nobilit per invidia lo aveva ingiuriato, e domand di potere menare armati seco per guardia sua. Da questa autorit facilmente salse a tanta grandezza, che divent tiranno di Atene. Pandolfo Petrucci torn, con altri fuora usciti, in Siena, e gli fu data la guardia della piazza con governo, come cosa mecanica, e che gli altri rifiutarono; nondimanco quelli armati, con il tempo, gli dierono tanta riputazione, che, in poco tempo, ne divent principe. Molti altri hanno tenute altre industrie ed altri modi, e con ispazio di tempo e sanza pericolo vi si sono condotti. Quegli che con forze loro, o con eserciti esterni, hanno congiurato per occupare la patria, hanno avuti varii eventi, secondo la fortuna. Catilina preallegato vi rovin sotto. Annone, di chi di sopra facemo menzione, non gli essendo riuscito il veleno, arm, di suoi partigiani, molte migliaia di persone, e loro ed elli furono morti. Alcuni primi cittadini di Tebe per farsi tiranni chiamorono in aiuto uno esercito spartano, e presono la tirannide di quella citt. Tanto che, esaminate tutte le congiure fatte contro alla patria, non ne troverrai alcuna, o poche, che, nel maneggiarle, siano oppresse; ma tutte, o sono riuscite o sono rovinate, nella esecuzione. Esequite che le sono, ancora non portano altri periculi che si porti la natura del principato in s: perch divenuto che uno tiranno, ha i suoi naturali ed ordinari pericoli che gli arreca la tirannide, alli quali non ha altri rimedi che si siano di sopra discorsi.

Questo quanto mi occorso scrivere delle congiure; e se io ho ragionato di quelle che si fanno con il ferro, e non col veneno, nasce che le hanno tutte uno medesimo ordine. Vero che quelle del veneno sono pi pericolose, per essere pi incerte, perch non si ha commodit per ognuno; e bisogna conferirlo con chi la ha, e questa necessit del conferire ti fa pericolo. Dipoi, per molte cagioni, uno beveraggio di veleno non pu essere mortale: come intervenne a quelli che ammazzarono Commodo, che, avendo quello ributtato il veleno che gli avevano dato, furono forzati a strangolarlo, se vollono che morisse. Non hanno, pertanto, i principi il maggiore nimico che la congiura: perch, fatta che una congiura loro contro, o la gli ammazza, o la gli infama. Perch, se la riesce, e' muoiono; se la si scuopre, e loro ammazzino i congiurati, si crede sempre che la sia stata invenzione di quel principe, per isfogare l'avarizia e la crudelt sua contro al sangue e la roba di quegli che egli ha morti. Non voglio per mancare di avvertire quel principe o quella republica contro a chi fosse congiurato, che abbino avvertenza, quando una congiura si manifesta loro, innanzi che facciano impresa di vendicarla, cercare ed intendere molto bene la qualit di essa, e misurino bene le condizioni de' congiurati e le loro; e quando la truovino grossa e potente, non la scuoprino mai, infino a tanto che si siano preparati con forze sufficienti ad opprimerla: altrimenti facendo, scoprirebbono la loro rovina. Per, debbono con ogni industria dissimularla; perch i congiurati, veggendosi scoperti, cacciati da necessit, operano sanza rispetto. In esemplo ci sono i Romani; i quali, avendo lasciate due legioni di soldati a guardia de' Capovani contro ai Sanniti, come altrove dicemo, congiurarono quelli capi delle legioni insieme di opprimere i Capovani: la quale cosa intesasi a Roma, commissono a Rutilio nuovo Consolo che vi provvedesse; il quale, per addormentare i congiurati, pubblic come il Senato aveva raffermo le stanze alle legioni capovane. Il che credendosi quelli soldati, e parendo loro avere tempo ad esequire il disegno loro, non cercarono di accelerare la cosa; e cos stettono infino che cominciarono a vedere che il Consolo gli separava l'uno dall'altro: la quale cosa gener in loro sospetto, fece che si scopersono e mandarono ad esecuzione la voglia loro. N pu essere questo maggiore esemplo nell'una e nell'altra parte: perch per questo si vede, quanto gli uomini sono lenti nelle cose dove credono avere tempo, e quanto e' sono presti dove la necessit gli caccia. N pu uno principe o una republica, che vuole differire lo scoprire una congiura a suo vantaggio, usare termine migliore che offerire, di prossimo, occasione con arte ai congiurati acciocch, aspettando quella, o parendo loro avere tempo, diano tempo a quello o a quella a gastigarli. Chi ha fatto altrimenti, ha accelerato la sua rovina: come fece il duca di Atene, e Guglielmo de' Pazzi. Il duca, diventato tiranno di Firenze, ed intendendo esserli congiurato contro, fece, sanza esaminare altrimenti la cosa, pigliare uno de' congiurati: il che fece subito pigliare l'armi agli altri; e torgli lo stato. Guglielmo, sendo commessario in Val di Chiana nel 1501, ed avendo inteso come in Arezzo era una congiura in favore de' Vitelli per trre quella terra ai Fiorentini, subito se n'and in quella citt, e sanza pensare alle forze de' congiurati o alle sue, e, sanza prepararsi di alcuna forza, con il consiglio del vescovo suo figliuolo, fece pigliare uno de' congiurati: dopo la quale presura, gli altri subito presono l'armi, e tolsono la terra ai Fiorentini; e Guglielmo, di commessario, divent prigione. Ma quando le congiure sono deboli, si possono e debbono sanza rispetto opprimerle. Non ancora da imitare in alcuno modo due termini usati, quasi contrari l'uno all'altro, l'uno dal prenominato duca di Atene, il quale, per mostrare di credere di avere la benivolenza de' cittadini fiorentini, fece morire uno che gli manifest una congiura; l'altro da Dione siragusano, il quale, per tentare l'animo di alcuno che elli aveva a sospetto, consent a Callippo, nel quale ei confidava, che mostrasse di farli una congiura contro. E tutti a due questi capitorono male: perch l'uno tolse l'animo agli accusatori, e dettelo a chi volesse congiurare, l'altro dette la via facile alla morte sua, anzi fu elli proprio capo della sua congiura; come per isperienza gl'intervenne, perch Callippo, potendo sanza rispetto praticare contro a Dione, pratic tanto che gli tolse lo stato e la vita.

 

Capitolo 7

Donde nasce che le mutazioni dalla libert alla servit,

e dalla servit alla libert,

alcuna ne sanza sangue, alcuna ne piena.

 

Dubiter forse alcuno donde nasca che molte mutazioni, che si fanno dalla vita libera alla tirannica, e per contrario, alcuna se ne faccia con sangue, alcuna sanza; perch, come per le istorie si comprende, in simili variazioni alcuna volta sono stati morti infiniti uomini, alcuna volta non stato ingiurato alcuno: come intervenne nella mutazione che fe' Roma dai Re a' Consoli, dove non furono cacciati altri che i Tarquinii, fuora della offensione di qualunque altro. Il che depende da questo: perch quello stato che si muta, nacque con violenza, o no: e perch, quando e' nasce con violenza, conviene nasca con ingiuria di molti, necessario poi, nella rovina sua, che gl'ingiuriati si voglino vendicare; e da questo desiderio di vendetta nasce il sangue e la morte degli uomini. Ma quando quello stato causato da uno comune consenso d'una universalit che lo ha fatto grande, non ha cagione poi, quando rovina detta universalit, di offendere altri che il capo. E di questa sorte fu lo stato di Roma, e la cacciata de' Tarquinii; come fu ancora in Firenze lo stato de' Medici, che poi nelle rovine loro, nel 1494, non furono offesi altri che loro. E cos tali mutazioni non vengono ad essere molto pericolose: ma sono bene pericolosissime quelle che sono fatte da quegli che si hanno a vendicare; le quali furono sempre mai di sorte, da fare, non che altro, sbigottire chi le legge. E perch di questi esempli ne sono piene le istorie, io le voglio lasciare indietro.

 

 

Capitolo 8

Chi vuole alterare una republica,

debbe considerare il suggetto di quella.

 

Egli si di sopra discorso, come uno tristo cittadino non pu male operare in una republica che non sia corrotta: la quale conclusione si fortifica, oltre alle ragioni che allora si dissono, con lo esemplo di Spurio Cassio e di Manlio Capitolino. Il quale Spurio, essendo uomo ambizioso, e volendo pigliare autorit istraordinaria in Roma, e guadagnarsi la plebe con il fargli molti beneficii, come era dividergli quegli campi che i Romani avevano tolto agli Ernici; fu scoperta dai Padri questa sua ambizione, ed in tanto recata a sospetto, che, parlando egli al popolo, ed offerendo di darli quelli danari che si erano ritratti dei grani che il publico aveva fatti venire di Sicilia, al tutto gli recus, parendo a quello che Spurio volessi dare loro il prezzo della loro libert. Ma se tale popolo fusse stato corrotto, non arebbe recusato detto prezzo, e gli arebbe aperta alla tirannide quella via che gli chiuse. Fa molto maggiore essemplo di questo, Manlio Capitolino: perch mediante costui si vede quanta virt d'animo e di corpo, quante buone opere fatte in favore della patria, cancella dipoi una brutta cupidit di regnare: la quale, come si vede, nacque in costui per la invidia che lui aveva degli onori erano fatti a Cammillo; e venne in tanta cecit di mente, che, non pensando al modo del vivere della citt, non esaminando il suggetto, quale esso aveva, non atto a ricevere ancora trista forma, si misse a fare tumulti in Roma contro al Senato e contro alle leggi patrie. Dove si conosce la perfezione di quella citt, e la bont della materia sua: perch nel caso suo nessuno della Nobilit, come che fossero agrissimi difensori l'uno dell'altro, si mosse a favorirlo; nessuno de' parenti fece impresa in suo favore: e con gli altri accusati solevano comparire, sordidati, vestiti di nero, tutti mesti per accattare misericordia in favore dello accusato, e con Manlio non se ne vide alcuno. I Tribuni della plebe, che solevano sempre favorire le cose che pareva venissono in beneficio del popolo; e quanto erano pi contro a' nobili, tanto pi le tiravano innanzi; in questo caso si unirono co' nobili, per opprimere una comune peste. Il popolo di Roma desiderosissimo dell'utile proprio, ed amatore delle cose che venivano contro alla Nobilit, avvenga che facesse a Manlio assai favori, nondimeno, come i Tribuni lo citarono, e che rimessono la causa sua al giudicio del popolo, quel popolo, diventato di difensore giudice, sanza rispetto alcuno lo condann a morte. Pertanto io non credo che sia esemplo in questa istoria, pi atto a mostrare la bont di tutti gli ordini di quella Republica, quanto questo; veggendo che nessuno di quella citt si mosse a difendere uno cittadino pieno d'ogni virt, e che publicamente e privatamente aveva fatte moltissime opere laudabili. Perch in tutti loro pot pi lo amore della patria che alcuno altro rispetto; e considerarono molto pi a' pericoli presenti che da lui dependevano che a' meriti passati: tanto che con la morte sua e' si liberarono. E Tito Livio dice: "Hunc exitum habuit vir, nisi in libera civitate natus esset, memorabilis". Dove sono da considerare due cose: l'una, che per altri modi si ha a cercare gloria in una citt corrotta, che in una che ancora viva politicamente; l'altra (che quasi quel medesimo che la prima), che gli uomini nel procedere loro, tanto pi nelle azioni grandi, debbono considerare i tempi, e accommodarsi a quegli.

E coloro che, per cattiva elezione o per naturale inclinazione, si discordono dai tempi, vivono, il pi delle volte, infelici, ed hanno cattivo esito le azioni loro, al contrario l'hanno quegli che si concordano col tempo. E sanza dubbio, per le parole preallegate dello istorico, si pu conchiudere, che, se Manlio fusse nato ne' tempi di Mario e di Silla, dove gi la materia era corrotta e dove esso arebbe potuto imprimere la forma dell'ambizione sua, arebbe avuti quegli medesimi sguiti e successi che Mario e Silla, e gli altri poi, che, dopo loro, alla tirannide aspirarono. Cos medesimamente, se Silla e Mario fussono stati ne' tempi di Manlio, sarebbero stati, in tra le prime loro imprese, oppressi. Perch un uomo pu bene cominciare con suoi modi e con suoi tristi termini a corrompere uno popolo di una citt, ma gli impossibile che la vita d'uno basti a corromperla in modo che egli medesimo ne possa trarre frutto; e quando bene e' fussi possibile, con lunghezza di tempo, che lo facesse, sarebbe impossibile, quanto al modo del procedere degli uomini, che sono impazienti, e non possono lungamente differire una loro passione. Appresso, s'ingannano nelle cose loro, ed in quelle, massime, che desiderono assai; talch, o per poca pazienza o per ingannarsene, entrerebbero in impresa contro a tempo, e capiterebbono male. Per bisogno, a volere pigliare autorit in una republica e mettervi trista forma, trovare la materia disordinata dal tempo, e che, a poco a poco, e di generazione in generazione, si sia condotta al disordine: la quale vi si conduce di necessit, quando la non sia, come di sopra si discorse, spesso rinfrescata di buoni esempli, o con nuove leggi ritirata verso i principii suoi. Sarebbe, dunque, stato Manlio uno uomo raro e memorabile, se e' fussi nato in una citt corrotta. E per debbeno i cittadini che nelle republiche fanno alcuna impresa o in favore della libert o in favore della tirannide, considerare il suggetto che eglino hanno, e giudicare da quello la difficult delle imprese loro. Perch tanto difficile e pericoloso volere fare libero uno popolo che voglia vivere servo, quanto volere fare servo uno popolo che voglia vivere libero. E perch di sopra si dice, che gli uomini nell'operare debbono considerare le qualit de' tempi e procedere secondo quegli, ne parlereno a lungo nel sequente capitolo.

 

 

Capitolo 9

Come conviene variare co' tempi volendo sempre avere buona fortuna.

 

Io ho considerato pi volte come la cagione della trista e della buona fortuna degli uomini riscontrare il modo del procedere suo con i tempi: perch e' si vede che gli uomini nelle opere loro procedono, alcuni con impeto, alcuni con rispetto e con cauzione. E perch nell'uno e nell'altro di questi modi si passano e' termini convenienti, non si potendo osservare la vera via, nell'uno e nell'altro si erra. Ma quello viene ad errare meno, ed avere la fortuna prospera, che riscontra, come ho detto, con il suo modo il tempo, e sempre mai si procede, secondo ti sforza la natura. Ciascuno sa come Fabio Massimo procedeva con lo esercito suo rispettivamente e cautamente, discosto da ogni impeto e da ogni audacia romana, e la buona fortuna fece che questo suo modo riscontr bene con i tempi. Perch, sendo venuto Annibale in Italia, giovane e con una fortuna fresca, ed avendo gi rotto il popolo romano due volte; ed essendo quella republica priva quasi della sua buona milizia, e sbigottita; non potette sortire migliore fortuna, che avere uno capitano il quale, con la sua tardit e cauzione, tenessi a bada il nimico. N ancora Fabio potette riscontrare tempi pi convenienti a' modi suoi: di che ne nacque che fu glorioso. E che Fabio facessi questo per natura, e non per elezione, si vide, che, volendo Scipione passare in Affrica con quegli eserciti per ultimare la guerra, Fabio la contradisse assai, come quello che non si poteva spiccare da' suoi modi e dalla consuetudine sua; talch, se fusse stato a lui Annibale sarebbe ancora in Italia; come quello che non si avvedeva che gli erano mutati i tempi, e che bisognava mutare modo di guerra. E se Fabio fusse stato re di Roma, poteva facilmente perdere quella guerra; perch non arebbe saputo variare, col procedere suo, secondo che variavono i tempi: ma essendo nato in una republica dove erano diversi cittadini e diversi umori, come la ebbe Fabio, che fu ottimo ne' tempi debiti a sostenere la guerra, cos ebbe poi Scipione, ne' tempi atti a vincerla.

Quinci nasce che una republica ha maggiore vita, ed ha pi lungamente buona fortuna, che uno principato, perch la pu meglio accomodarsi alla diversit de' temporali, per la diversit de' cittadini che sono in quella, che non pu uno principe. Perch un uomo che sia consueto a procedere in uno modo, non si muta mai, come detto; e conviene di necessit che, quando e' si mutano i tempi disformi a quel suo modo, che rovini.

Piero Soderini, altre volte preallegato, procedeva in tutte le cose sue con umanit e pazienza. Prosper egli e la sua patria, mentre che i tempi furono conformi al modo del procedere suo: ma come e' vennero dipoi tempi dove e' bisognava rompere la pazienza e la umilt, non lo seppe fare; talch insieme con la sua patria rovin. Papa Iulio II procedette in tutto il tempo del suo pontificato con impeto e con furia; e perch gli tempi l'accompagnarono bene gli riuscirono le sua imprese tutte. Ma se fossero venuti altri tempi che avessono ricerco altro consiglio, di necessit rovinava; perch no arebbe mutato n modo n ordine nel maneggiarsi. E che noi non ci possiamo mutare, ne sono cagioni due cose: l'una, che noi non ci possiamo opporre a quello che ci inclina la natura; l'altra, che, avendo uno con uno modo di procedere prosperato assai, non possibile persuadergli che possa fare bene a procedere altrimenti: donde ne nasce che in uno uomo la fortuna varia, perch ella varia i tempi, ed elli non varia i modi. Nascene ancora le rovine delle cittadi, per non si variare gli ordini delle republiche co' tempi; come lungamente di sopra discorremo: ma sono pi tarde, perch le penono pi a variare, perch bisogna che venghino tempi che commuovino tutta la republica, a che uno solo, col variare il modo del procedere, non basta.

E perch noi abbiamo fatto menzione di Fabio Massimo che tenne a bada Annibale, mi pare da discorrere nel capitolo sequente, se uno capitano, volendo fare la giornata in ogni modo col nimico, pu essere impedito, da quello, che non lo faccia.

 

 

Capitolo 10

Che uno capitano non pu fuggire la giornata,

quando l'avversario la vuol fare in ogni modo.

 

"Cneus Sulpitius dictator adversus Gallos bellum trahebat, nolens se fortunae committere adversus hostem, quem tempus deteriorem in dies, et locus alienus, faceret". Quando e' sguita uno errore, dove tutti gli uomini o la maggiore parte s'ingannino, io non credo che sia male molte volte riprovarlo. Pertanto, come che io abbia di sopra pi volte mostro quanto le azioni circa le cose grandi sieno disformi a quelle delli antichi tempi, nondimeno non mi pare superfluo al presente replicarlo. Perch, se in alcuna parte si devia dagli antichi ordini si devia massime nelle azioni militari, dove al presente non osservata alcuna di quelle cose che dagli antichi erano stimate assai. Ed nato questo inconveniente, perch le republiche ed i principi hanno imposta questa cura ad altrui; e per fuggire i pericoli si sono discostati da questo esercizio: e se pure si vede qualche volta uno re de' tempi nostri andare in persona, non si crede, per, che da lui nasca altri modi che meritino pi laude. Perch quello esercizio, quando pure lo fanno, lo fanno a pompa, e non per alcuna altra laudabile cagione. Pure, questi fanno minori errori rivedendo i loro eserciti qualche volta in viso, tenendo a presso di loro il titolo dello imperio, che non fanno le republiche, e massime le italiane; le quali, fidandosi d'altrui, n s'intendendo in alcuna cosa di quello che appartenga alla guerra; e, dall'altro canto, volendo, per parere d'essere loro il principe, deliberarne, fanno in tale deliberazione mille errori. E bench di alcuno ne abbi discorso altrove, voglio al presente non ne tacere uno importantissimo. Quando questi principi oziosi, o republiche effeminate, mandono fuora uno loro capitano, la pi savia commissione che paia loro dargli, quando gl'impongono che per alcuno modo venga a giornata, anzi, sopra ogni cosa, si guardi dalla zuffa; e parendo loro, in questo, imitare la prudenza di Fabio Massimo, che, differendo il combattere, salv lo stato ai Romani, non intendono che, la maggiore parte delle volte, questa commissione nulla o dannosa. Per che si debbe pigliare questa conclusione: che uno capitano, che voglia stare alla campagna, non pu fuggire la giornata, qualunque volta il nemico la vuole fare in ogni modo. E non altro questa commissione che dire: fa' la giornata a posta del nimico, e non a tua. Perch a volere stare in campagna, e non fare la giornata, non ci altro rimedio sicuro che porsi cinquanta miglia almeno discosto al nimico; e di poi tenere buone spie, che, venendo quello verso di te, tu abbi tempo a discostarti. Uno altro partito ci ; inchiudersi in una citt. E l'uno e l'altro di questi due partiti dannosissimo. Nel primo si lascia in preda il paese suo al nimico; ed uno principe valente vorr pi tosto tentare la fortuna della zuffa, che allungare la guerra con tanto danno de' sudditi. Nel secondo partito la perdita manifesta; perch e' conviene che, riducendoti con uno esercito in una citt, tu venga ad essere assediato, ed in poco tempo patire fame, e venire a dedizione. Talch fuggire la giornata, per queste due vie, dannosissimo. Il modo che tenne Fabio Massimo, di stare ne' luoghi forti, buono quando tu hai s virtuoso esercito, che il nimico non abbia ardire di venirti a trovare dentro a' tuoi vantaggi. N si pu dire che Fabio fuggissi la giornata, ma pi tosto che la volessi fare a suo vantaggio. Perch, se Annibale fusse ito a trovarlo, Fabio l'arebbe aspettato, e fatto la giornata seco: ma Annibale non ard mai di combattere con lui a modo di quello. Tanto che la giornata fu fuggita cos da Annibale come da Fabio: ma se uno di loro l'avessi voluta fare in ogni modo, l'altro non vi aveva se non uno de' tre rimedi; i due sopradetti, o fuggirsi.

E che questo che io dico sia vero, si vede manifestamente con mille esempli, e massime nella guerra che i Romani feciono con Filippo di Macedonia, padre di Perse: perch Filippo, sendo assaltato dai Romani, deliber non venire alla zuffa; e, per non vi venire, volle fare prima come aveva fatto Fabio Massimo in Italia; e si pose con il suo esercito sopra la sommit d'uno monte, dove si afforz assai, giudicando ch'e' Romani non avessero ardire di andare a trovarlo. Ma, andativi e combattutolo, lo cacciarono di quel monte; ed egli, non potendo resistere, si fugg con la maggiore parte delle genti. E quel che lo salv che non fu consumato in tutto, fu la iniquit del paese, qual fece che i Romani non poterono seguirlo. Filippo, adunque, non volendo azzuffarsi, ed essendosi posto con il campo presso a' Romani, si ebbe a fuggire; ed avendo conosciuto per questa isperienza, come, non volendo combattere, non gli bastava stare sopra i monti, e nelle terre non volendo rinchiudersi, deliber pigliare l'altro modo, di stare discosto molte miglia al campo romano. Donde, se i Romani erano in una provincia, e' se ne andava nell'altra, e cos sempre, donde i Romani partivano esso entrava. E veggendo, alla fine, come nello allungare la guerra per questa via, le sue condizioni peggioravano, e che i suoi suggetti ora da lui ora dai nimici erano oppressi, deliber di tentare la fortuna della zuffa; e cos venne con i Romani ad una giornata giusta. utile adunque non combattere, quando gli eserciti hanno queste condizioni che aveva lo esercito di Fabio, e che ora ha quello di Gneo Sulpizio, cio avere uno esercito s buono, che il nimico non ardisca venirti a trovare drento alle fortezze tue; e che il nimico sia in casa tua sanza avere preso molto pi, dove e' patisca necessit del vivere. Ed in questo caso il partito utile, per le ragioni che dice Tito Livio: "nolens se fortunae committere adversus hostem, quem tempus deteriorem in dies, et locus alienus, faceret". Ma in ogni altro termine non si pu fuggire giornata, se non con tuo disonore e pericolo. Perch fuggirsi, come fece Filippo, come essere rotto; e con pi vergogna, quanto meno si fatto pruova della tua virt. E se a lui riusc salvarsi, non riuscirebbe ad uno altro che non fussi aiutato dal paese come egli. Che Annibale non fussi maestro di guerra, alcuno mai non lo dir ed essendo allo incontro di Scipione in Affrica, s'egli avessi veduto vantaggio in allungare la guerra, ei lo arebbe fatto; e per avventura, sendo lui buono capitano, ed avendo buono esercito, lo arebbe potuto fare, come fece Fabio in Italia: ma non lo avendo fatto, si debbe credere che qualche cagione importante lo movessi. Perch uno principe che abbi uno esercito messo insieme, e vegga che per difetto di danari o d'amici e' non pu tenere lungamente tale esercito, matto al tutto se non tenta la fortuna innanzi che tale esercito si abbia a risolvere: perch, aspettando e' perde il certo; tentando, potrebbe vincere.

Un'altra cosa ci ancora da stimare assai: la quale che si debbe, eziandio perdendo, volere acquistare gloria; e pi gloria si ha, ad essere vinto per forza, che per altro inconveniente che ti abbi fatto perdere. S che Annibale doveva essere constretto da queste necessit. E dall'altro canto, Scipione, quando Annibale avessi differita la giornata, e non gli fusse bastato l'animo irlo a trovare ne' luoghi forti, non pativa, per avere di gi vinto Siface ed acquistato tante terre in Affrica, che vi poteva stare sicuro e con commodit come in Italia. Il che non interveniva ad Annibale, quando era all'incontro di Fabio; n a questi Franciosi, che erano allo incontro di Sulpizio.

Tanto meno ancora pu fuggire la giornata colui che con lo esercito assalta il paese altrui; perch, se vuole entrare nel paese del nimico, gli conviene, quando il nimico se gli facci incontro, azzuffarsi seco, e se si pone a campo ad una terra, si obliga tanto pi alla zuffa: come ne' tempi nostri intervenne al duca Carlo di Borgogna, che, sendo accampato a Moratto, terra de' Svizzeri, fu da' Svizzeri assaltato e rotto, e come intervenne allo esercito di Francia, che, campeggiando Novara, fu medesimamente da' Svizzeri rotto.

 

 

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1998 - by prof. Giuseppe Bonghi

data ultima modifica: 03 luglio, 2004