Niccol Machiavelli

Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio

 

Capitolo 21

Donde nacque che Annibale, con diverso modo di procedere

da Scipione fece quelli medesimi effetti in Italia che quello in Ispagna.

 

Io estimo che alcuni si potrebbono maravigliare veggendo come qualche capitano, nonostante ch'egli abbia tenuto contraria vita, abbia nondimeno fatti simili effetti a coloro che sono vissuti nel modo soprascritto: talch pare che la cagione delle vittorie non dependa dalle predette cause; anzi pare che quelli modi non ti rechino n pi forza n pi fortuna, potendosi per contrari modi acquistare gloria e riputazione. E per non mi partire dagli uomini soprascritti, e per chiarire meglio quello che io ho voluto dire, dico come e' si vede Scipione entrare in Ispagna, e con quella sua umanit e piat subito farsi amica quella provincia, ed adorare ed ammirare da' popoli. Vedesi, allo incontro, entrare Annibale in Italia, e con modi tutti contrari, cio con crudelt, violenza e rapina ed ogni ragione infidelt, fare il medesimo effetto che aveva fatto Scipione in Ispagna; perch, a Annibale, si ribellarono tutte le citt d'Italia, tutti i popoli lo seguirono.

E pensando donde questa cosa possa nascere, ci si vede dentro pi ragioni. La prima , che gli uomini sono desiderosi di cose nuove; in tanto che cos disiderano il pi delle volte novit quegli che stanno bene, come quegli che stanno male: perch, come altra volta si disse, ed il vero, gli uomini si stuccono nel bene, e nel male si affliggano. Fa, adunque, questo desiderio aprire le porte a ciascuno che in una provincia si fa capo d'una innovazione; e s'egli forestiero, gli corrono dietro; s'egli provinciale, gli sono intorno, augumentanlo e favorisconlo: talmentech, in qualunque modo elli proceda, gli riesce il fare progressi grandi in quegli luoghi. Oltre a questo, gli uomini sono spinti da due cose principali; o dallo amore, o dal timore: talch, cos gli comanda chi si fa amare, come lui che si fa temere; anzi, il pi delle volte pi seguito e pi ubbidito chi si fa temere che chi si fa amare.

Importa, pertanto, poco ad uno capitano, per qualunque di queste vie e' si cammini, pure che sia uomo virtuoso, e che quella virt lo faccia riputato intra gli uomini. Perch, quando la grande, come la fu in Annibale ed in Scipione, ella cancella tutti quegli errori che si fanno per farsi troppo amare o per farsi troppo temere. Perch dall'uno e dall'altro di questi due modi possono nascere inconvenienti grandi, ed atti a fare rovinare uno principe: perch colui che troppo desidera essere amato, ogni poco che si parte dalla vera via, diventa disprezzabile: quell'altro che desidera troppo di essere temuto, ogni poco ch'egli eccede il modo, diventa odioso. E tenere la via del mezzo non si pu appunto, perch la nostra natura non ce lo consente: ma necessario queste cose che eccedono mitigare con una eccessiva virt, come faceva Annibale e Scipione. Nondimeno si vide come l'uno e l'altro furono offesi da questi loro modi di vivere, e cos furono esaltati.

La esaltazione di tutti a due si detta. L'offesa, quanto a Scipione, fu che gli suoi soldati in Ispagna se gli ribellarono, insieme con parte de' suoi amici: la quale cosa non nacque da altro che da non lo temere; perch gli uomini sono tanto inquieti, che, ogni poco di porta che si apra loro all'ambizione, dimenticano subito ogni amore che gli avessero posto al principe per la umanit sua; come fecero i soldati ed amici predetti: tanto che Scipione, per rimediare a questo inconveniente, fu costretto usare parte di quella crudelt che elli aveva fuggita. Quanto ad Annibale, non ci esemplo alcuno particulare, dove quella sua crudelt e poca fede gli nocesse: ma si pu bene presupporre che Napoli, e molte altre terre che stettero in fede del popolo romano, stessero per paura di quella. Viddesi bene questo che quel suo modo di vivere impio, lo fece pi odioso al popolo romano, che alcuno altro inimico che avesse mai quella Republica: in modo che, dove a Pirro mentre che egli era con lo esercito in Italia, manifestarono quello che lo voleva avvelenare, ad Annibale mai, ancora che disarmato e disperso, perdonarono, tanto che lo fecioro morire. Nacquene, adunque, ad Annibale, per essere tenuto impio e rompitore di fede e crudele, queste incommodit; ma gliene risult allo incontro una commodit grandissima, la quale ammirata da tutti gli scrittori: che, nel suo esercito, ancorach composto di varie generazioni di uomini, non nacque mai alcuna dissensione, n infra loro medesimi, n contro di lui. Il che non potette dirivare da altro, che dal terrore che nasceva dalla persona sua: il quale era tanto grande, mescolato con la riputazione che gli dava la sua virt, che teneva i suoi soldati quieti ed uniti. Conchiudo, dunque, come e' non importa molto in quale modo uno capitano si proceda, pure che in esso sia virt grande che condisca bene l'uno e l'altro modo di vivere: perch, come detto, nell'uno e nell'altro difetto e pericolo, quando da una virt istraordinaria non sia corretto. E se Annibale e Scipione, l'uno con cose laudabili, l'altro con detestabili, feciono il medesimo effetto; non mi pare da lasciare indietro il discorrere ancora di due cittadini romani, che conseguirono con diversi modi, ma tutti a due laudabili, una medesima gloria.

 

 

Capitolo 22

Come la durezza di Manlio Torquato e la umanit

di Valerio Corvino acquist a ciascuno la medesima gloria.

 

E' furno in Roma in uno medesimo tempo due capitani eccellenti, Manlio Torquato e Valerio Corvino; i quali, di pari virt, di pari trionfi e gloria, vissono in Roma, e ciascuno di loro, in quanto si apparteneva al nimico, con pari virt l'acquistarono, ma quanto si apparteneva agli eserciti ed agl'intrattenimenti de' soldati, diversissimamente procederono: perch Manlio con ogni generazione di severit sanza intermettere a' suoi soldati o fatica o pena, gli comandava: Valerio, dall'altra parte, con ogni modo e termine umano, e pieno di una familiare domestichezza, gl'intratteneva. Per che si vide, che, per avere l'ubbidienza de' soldati, l'uno ammazz il figliuolo, e l'altro non offese mai alcuno. Nondimeno, in tanta diversit di procedere, ciascuno fece il medesimo frutto, e contro a' nimici ed in favore della republica e suo. Perch nessuno soldato non mai o detratt la zuffa o si ribell da loro o fu, in alcuna parte, discrepante dalla voglia di quegli; quantunque gl'imperi di Manlio fussero s aspri, che tutti gli altri imperi che eccedevano il modo, erano chiamati "manliana imperia". Dove da considerare, prima, donde nacque che Manlio fu costretto procedere s rigidamente; l'altro, donde avvenne che Valerio potette procedere s umanamente l'altro, quale cagione fe' che questi diversi modi facessero il medesimo effetto; ed in ultimo, quale sia di loro meglio, e, imitare, pi utile. Se alcuno considera bene la natura di Manlio d'allora che Tito Livio ne comincia a fare menzione, lo vedr uomo fortissimo, pietoso verso il padre e verso la patria, e reverentissimo a' suoi maggiori. Queste cose si conoscono dalla morte di quel Francioso, dalla difesa del padre contro al Tribuno; e come, avanti ch'egli andasse alla zuffa del Francioso, e' n'and al Consolo con queste parole: "Iniussu tuo adversus hostem nunquam pugnabo, non si certam victoriam videam". Venendo, dunque, un uomo cos fatto a grado che comandi, desidera di trovare tutti gli uomini simili a s; e l'animo suo forte gli fa comandare cose forti; e quel medesimo, comandate che le sono, vuole si osservino. Ed una regola verissima, che, quando si comanda cose aspre, conviene con asprezza farle osservare; altrimenti, te ne troverresti ingannato. Dove da notare, che a volere essere ubbidito, necessario saper comandare: e coloro sanno comandare, che fanno comparazione dalle qualit loro a quelle di chi ha ad ubbidire; e quando vi veggono proporzione, allora comandino; quando sproporzione, se ne astenghino.

E per diceva un uomo prudente, che, a tenere una republica, con violenza, conveniva fusse proporzione da chi sforzava a quel che era sforzato. E qualunque volta questa proporzione vi era, si poteva credere che quella violenza fusse durabile; ma quando il violentato fusse pi forte che il violentante, si poteva dubitare che ogni giorno quella violenza cessasse.

Ma tornando al discorso nostro, dico che, a comandare le cose forti, conviene essere forte; e quello che di questa fortezza e che le comanda, non pu poi con dolcezza farle osservare. Ma chi non di questa fortezza d'animo, si debbe guardare dagl'imperi istraordinari, e negli ordinari pu usare la sua umanit. Perch le punizioni ordinarie non sono imputate al principe, ma alle leggi ed a quegli ordini. Debbesi, dunque, credere che Manlio fusse costretto procedere s rigidamente dagli straordinari suoi imperi, a' quali lo inclinava la sua natura: i quali sono utili in una republica, perch e' riducono gli ordini di quella verso il principio loro, e nella sua antica virt. E se una republica fusse s felice, ch'ella avesse spesso, come di sopra dicemo, chi con lo esemplo suo le rinnovasse le leggi; e non solo la ritenesse che la non corresse alla rovina, ma la ritirasse indietro; la sarebbe perpetua. S che Manlio fu uno di quelli che con l'asprezza de' suoi imperi ritenne la disciplina militare in Roma; costretto prima dalla natura sua, dipoi dal desiderio aveva, si osservasse quello che il suo naturale appetito gli aveva fatto ordinare. Dall'altro canto, Valerio potette procedere umanamente, come colui a cui bastava si osservassono le cose consuete osservarsi negli eserciti romani. La quale consuetudine, perch era buona, bastava ad onorarlo; e non era faticosa a osservarla, e non necessitava Valerio a punire i transgressori: s perch non ve n'era; s perch, quando e' ve ne fosse stati, imputavano, come detto, la punizione loro agli ordini e non alla crudelt del principe. In modo che, Valerio poteva fare nascere da lui ogni umanit, dalla quale ei potesse acquistare grado con i soldati, e la contentezza loro. Donde nacque che, avendo l'uno e l'altro la medesima ubbidienza, potettono, diversamente operando, fare il medesimo effetto. Possono quelli che volessero imitare costoro, cadere in quelli vizi di dispregio e di odio che io dico, di sopra, di Annibale e di Scipione: il che si fugge con una virt eccessiva che sia in te, e non altrimenti.

Resta ora a considerare quale di questi modi di procedere sia pi laudabile. Il che credo sia disputabile, perch gli scrittori lodano l'uno modo e l'altro. Nondimeno, quegli che scrivono come uno principe si abbia a governare, si accostano pi a Valerio che a Manlio; e Senofonte, preallegato da me, dando di molti esempli della umanit di Ciro, si conforma assai con quello che dice di Valerio, Tito Livio. Perch, essendo fatto Consolo contro ai Sanniti, e venendo il d che doveva combattere, parl a' suoi soldati con quella umanit con la quale ei si governava; e dopo tale parlare, Tito Livio dice quelle parole: "Non alias militi familiarior dux fuit, inter infimos milites omnia haud gravate mundia obeundo. In ludo praeterea militari, cum velocitatis viriumque inter se aequales certamina ineunt, comiter facilis vincere ac vinci vultu eodem; nec quemquam aspernari parem qui se offerret; factis benignus pro re; dictis haud minus libertatis alienae, quam suae dignitatis memor; et (quo nihil popularius est) quibus artibus petierat magistratus, iisdem gerebat". Parla medesimamente, di Manlio, Tito Livio onorevolmente, mostrando che la sua severit nella morte del figliuolo fece tanto ubbidiente lo esercito al Consolo, che fu cagione della vittoria che il popolo romano ebbe contro ai Latini; ed in tanto procede in laudarlo, che, dopo tale vittoria, descritto ch'egli ha tutto l'ordine di quella zuffa, e mostri tutti i pericoli che il popolo romano vi corse, e le difficult che vi furono a vincere fa questa conclusione: che solo la virt di Manlio dette quella vittoria ai Romani. E faccendo comparazione delle forze dell'uno e dell'altro esercito, afferma come quella parte arebbe vinto che avesse avuto per consolo Manlio. Talch considerato tutto quello che gli scrittori ne parlano, sarebbe difficile giudicarne. Nondimeno, per non lasciare questa parte indecisa, dico come in uno cittadino che viva sotto le leggi d'una republica, credo sia pi laudabile e meno pericoloso il procedere di Manlio: perch questo modo tutto in favore del publico, e non risguarda in alcuna parte all'ambizione privata; perch tale modo non si pu acquistare partigiani, mostrandosi sempre aspro a ciascuno, ed amando solo il bene commune; perch chi fa questo, non si acquista particulari amici, quali noi chiamiamo, come di sopra si disse, partigiani. Talmentech, simile modo di procedere non pu essere pi utile n pi disiderabile in una republica; non mancando in quello la utilit publica, e non vi potendo essere alcun sospetto della potenza privata. Ma nel modo del procedere di Valerio il contrario: perch, se bene in quanto al publico si fanno e' medesimi effetti, nondimeno vi surgono molte dubitazioni per la particulare benivolenza che colui si acquista con i soldati, da fare in uno lungo imperio cattivi effetti contro alla libert.

E se in Publicola questi cattivi effetti non nacquono, ne fu cagione non essere ancora gli animi de' Romani corrotti, e quello non essere stato lungamente e continovamente al governo loro. Ma se noi abbiamo a considerare uno principe, come considera Senofonte, noi ci accostereno al tutto a Valerio, e lasceremo Manlio perch uno principe debbe cercare ne' soldati e ne' sudditi l'ubbidienza e lo amore. La ubbidienza gli d lo essere osservatore degli ordini e lo essere tenuto virtuoso; lo amore gli d l'affabilit, l'umanit, la piat, e l'altre parti che erano in Valerio, e che Senofonte scrive essere in Ciro. Perch lo essere uno principe bene voluto particularmente, ed avere lo esercito suo partigiano, si conforma con tutte l'altre parti dello stato suo: ma in uno cittadino che abbia lo esercito suo partigiano, non si conforma gi questa parte con l'altre sue parti, che lo hanno a fare vivere sotto le leggi ed ubidire ai magistrati.

Leggesi intra le cose antiche della Republica viniziana, come, essendo le galee viniziane tornate in Vinegia, e venendo certa differenza intra quegli delle galee ed il popolo, donde si venne al tumulto ed all'armi, n si potendo la cosa quietare n per forza di ministri n per riverenza di cittadini n timore de' magistrati; subito a quelli marinai apparve innanzi uno gentiluomo che era, l'anno davanti, stato capitano loro, per amore di quello si partirono, e lasciarono la zuffa. La quale ubbidienza gener tanta suspizione al Senato, che, poco tempo dipoi, i Viniziani, o per prigione o per morte, se ne assicurarono. Conchiudo pertanto, il procedere di Valerio essere utile in uno principe e pernizioso in uno cittadino; non solamente alla patria, ma a s a lei, perch quelli modi preparano la via alla tirannide; a s, perch in sospettando la sua citt del modo del procedere suo costretta assicurarsene con suo danno. E cos, per il contrario, affermo il procedere di Manlio in uno principe essere dannoso, ed in uno cittadino utile, e massime alla patria: ed ancora rade volte offende; se gi questo odio che ti reca la tua severit, non accresciuto da sospetto che l'altre tue virt per la gran riputazione ti arrecassono: come, di sotto, di Cammillo si discorrer.

 

 

Capitolo 23

Per quale cagione Cammillo fusse cacciato di Roma.

 

Noi abbiamo conchiuso di sopra, come, procedendo come Valerio, si nuoce alla patria ed a s; e, procedendo come Manlio, si giova alla patria, e nuocesi qualche volta a s. Il che si pruova assai bene per lo esemplo di Cammillo, il quale nel procedere suo simigliava pi tosto Manlio che Valerio. Donde Tito Livio, parlando di lui, dice, come "eius virtutem milites oderant, et mirabantur".

Quello che lo faceva tenere maraviglioso era la sollicitudine, la prudenza, la grandezza dello animo, il buon ordine che lui servava nello adoperarsi, e nel comandare agli eserciti: quello che lo faceva odiare, era essere pi severo nel gastigargli che liberale nel rimunerargli. E Tito Livio ne adduce di questo odio queste cagioni: la prima, che i danari che si trassono de' beni de' Veienti che si venderono, esso gli applic al publico, e non gli divise con la preda: l'altra, che nel trionfo ei fece tirare il suo carro trionfale da quattro cavagli bianchi, dove essi dissero che per la superbia e' si era voluto agguagliare al Sole: la terza, che ei fece voto di dare a Apolline la decima parte della preda de' Veienti, la quale, volendo sodisfare al voto, si aveva a trarre delle mani de' soldati che l'avevano di gi occupata. Dove si notano bene e facilmente quelle cose che fanno uno principe odioso appresso il popolo; delle quali la principale privarlo d'uno utile. La quale cosa d'importanza assai, perch le cose che hanno in s utilit, quando l'uomo n' privo, non le dimentica mai, ed ogni minima necessit te ne fa ricordare; e perch le necessit vengono ogni giorno, tu te ne ricordi ogni giorno. L'altra cosa lo apparire superbo ed enfiato; il che non pu essere pi odioso a' popoli, e massime a' liberi. E bench da quella superbia e da quel fasto non ne nascesse loro alcuna incommodit, nondimeno hanno in odio chi l'usa: da che uno principe si debbe guardare come da uno scoglio: perch tirarsi odio addosso senza suo profitto, al tutto partito temerario e poco prudente.

 

 

Capitolo 24

La prolungazione degl'imperii fece serva Roma.

 

Se si considera bene il procedere della Republica romana, si vedr due cose essere state cagione della risoluzione di quella Republica: l'una furon le contenzioni che nacquono dalla legge agraria; l'altra, la prolungazione degli imperii: le quali cose se fussono state conosciute bene da principio, e fattovi i debiti rimedi, sarebbe stato il vivere libero pi lungo, e per avventura pi quieto. E bench, quanto alla prolungazione dello imperio, non si vegga che in Roma nascessi mai alcuno tumulto; nondimeno si vide in fatto, quanto noc alla citt quella autorit che i cittadini per tali diliberazioni presono. E se gli altri cittadini a chi era prorogato il magistrato, fussono stati savi e buoni come fu Lucio Quinzio, non si sarebbe incorso in questo inconveniente. La bont del quale di uno esemplo notabile, perch, essendosi fatto intra la Plebe ed il Senato convenzione d'accordo, ed avendo la Plebe prolungato in uno anno lo imperio ai Tribuni, giudicandogli atti a potere resistere all'ambizione de' nobili, volle il Senato, per gara della Plebe e per non parere da meno di lei, prolungare il consolato a Lucio Quinzio: il quale al tutto neg questa diliberazione, dicendo che i cattivi esempli si voleva cercare di spegnergli, non di accrescergli con uno altro pi cattivo esemplo, e volle si facessono nuovi Consoli. La quale bont e prudenza se fosse stata in tutti i cittadini romani, non arebbe lasciata introdurre quella consuetudine di prolungare i magistrati, e da quelli non si sarebbe venuto alla prolungazione delli imperii: la quale cosa, col tempo, rovin quella Republica. Il primo a chi fu prorogato lo imperio, fu a Publio Philone; il quale essendo a campo alla citt di Palepoli, e venendo la fine del suo consolato, e parendo al Senato ch'egli avesse in mano quella vittoria, non gli mandarono il successore, ma lo fecero Proconsolo; talch fu il primo Proconsolo. La quale cosa, ancora che mossa dal Senato per utilit publica, fu quella che con il tempo fece serva Roma. Perch, quanto pi i Romani si discostarono con le armi, tanto pi parve loro tale prorogazione necessaria, e pi la usarono. La quale cosa fece due inconvenienti: l'uno, che meno numero di uomini si esercitarono negl'imperii, e si venne per questo a ristringere la riputazione in pochi: l'altro, che, stando uno cittadino assai tempo comandatore d'uno esercito, se lo guadagnava e facevaselo partigiano; perch quello esercito col tempo dimenticava il Senato e riconosceva quello capo. Per questo Silla e Mario poterono trovare soldati che contro al bene publico gli seguitassono: per questo, Cesare potette occupare la patria. Che se mai i Romani non avessono prolungati i magistrati e gli imperii, se non venivano s tosto a tanta potenza, e se fussono stati pi tardi gli acquisti loro, sarebbono ancora pi tardi venuti nella servit.

 

 

Capitolo 25

Della povert di Cincinnato e di molti cittadini romani.

 

Noi abbiamo ragionato altrove come la pi utile cosa che si ordini in uno vivere libero che si mantenghino i cittadini poveri. E bench in Roma non apparisca quale ordine fusse quello che facesse questo effetto, avendo, massime, la legge agraria avuta tanta oppugnazione; nondimeno per esperienza si vide, che, dopo quattrocento anni che Roma era stata edificata, vi era una grandissima povert; n si pu credere che altro ordine maggiore facesse questo effetto, che vedere come per la povert non ti era impedita la via a qualunque grado ed a qualunque onore, e come e' si andava a trovare la virt in qualunque casa l'abitasse. Il quale modo di vivere faceva manco desiderabili le ricchezze. Questo si vede manifesto; perch, sendo Minuzio consolo assediato con lo esercito suo dagli Equi, si empi di paura Roma, che quello esercito non si perdesse; tanto che ricorsero a creare il Dittatore, ultimo rimedio nelle loro cose afflitte. E crearono Lucio Quinzio Cincinnato, il quale allora si trovava nella sua piccola villa, la quale lavorava di sua mano. La quale cosa con parole auree e celebrata da Tito Livio, dicendo: "Operae pretium est audire, qui omnia prae divitiis humana spernunt, neque honori magno locum, neque virtuti putant esse, nisi effusae affluant opes". Arava Cincinnato la sua piccola villa, la quale non trapassava il termine di quattro iugeri quando da Roma vennero i Legati del Senato a significargli la elezione della sua dittatura, a mostrargli in quale pericolo si trovava la romana Republica. Egli, presa la sua toga, venuto in Roma e ragunato uno esercito ne and a liberare Minuzio, ed avendo rotti e spogliati i nimici, e liberato quello, non volle che lo esercito assediato fusse partecipe della preda, dicendogli queste parole: - Io non voglio che tu participi della preda di coloro de' quali tu se' stato per essere preda; - e priv Minuzio del consolato, e fecelo Legato, dicendogli: - Starai in questo grado tanto, che tu impari a sapere essere Consolo -. Aveva fatto suo Maestro de' cavagli Lucio Tarquinio, il quale per la povert militava a piede. Notasi, come detto, l'onore che si faceva in Roma alla povert; e come a un uomo buono e valente, quale era Cincinnato, quattro iugeri di terra bastavano a nutrirlo. La quale povert si vede come era ancora ne' tempi di Marco Regolo; perch, sendo in Affrica con gli eserciti, domand licenza al Senato per potere tornare a custodire la sua villa, la quale gli era guasta da' suoi lavoratori. Dove si vede due cose notabilissime: l'una, la povert, e come vi stavano dentro contenti, e come e' bastava a quelli cittadini trarre della guerra onore, e l'utile tutto lasciavano al publico. Perch, s'egli avessero pensato d'arricchire della guerra, gli sarebbe dato poca briga che i suoi campi fussono stati guasti. L'altra considerare la generosit dell'animo di quelli cittadini, i quali, preposti ad uno esercito, saliva la grandezza dello animo loro sopra ogni principe, non stimavono i re, non le republiche; non gli sbigottiva n spaventava cosa alcuna; e tornati dipoi privati, diventavano parchi, umili, curatori delle piccole facult loro, ubbidienti a' magistrati, reverenti alli loro maggiori: talch pare impossibile che uno medesimo animo patisca tale mutazione. Dur questa povert ancora infino a' tempi di Paulo Emilio, che furono quasi gli ultimi felici tempi di quella Republica, dove uno cittadino, che col trionfo suo arricch Roma, nondimeno mantenne povero s. Ed in tanto si stimava ancora la povert, che Paulo, nell'onorare chi si era portato bene nella guerra, don a uno suo genero una tazza d'ariento, il quale fu il primo ariento che fusse nella sua casa. Potrebbesi, con un lungo parlare, mostrare quanto migliori frutti produca la povert che la ricchezza, e come l'una ha onorato le citt, le provincie, le stte, e l'altra le ha rovinate; se questa materia non fusse stata molte volte da altri uomini celebrata.

 

 

Capitolo 26

Come per cagione di femine si rovina uno stato.

 

Nacque nella citt d'Ardea intra i patrizi e gli plebei una sedizione per cagione d'uno parentado: dove, avendosi a maritare una femina ricca, la domandarono parimente uno plebeo ed uno nobile; e non avendo quella padre, i tutori la volevono congiugnere al plebeo, la madre al nobile: di che nacque tanto tumulto, che si venne alle armi; dove tutta la Nobilit si arm in favore del nobile, e tutta la plebe in favore del plebeo. Talch, essendo superata la plebe, si usc d'Ardea, e mand a' Volsci per aiuto: i nobili mandarono a Roma. Furono prima i Volsci, e, giunti intorno ad Ardea, si accamparono. Sopravvennono i Romani, e rinchiusono i Volsci infra la terra e loro; tanto che gli costrinsono, essendo stretti dalla fame, a darsi a discrezione. Ed entrati i Romani in Ardea, e morti tutti i capi della sedizione, composono le cose di quella citt.

Sono in questo testo pi cose da notare. Prima, si vede come le donne sono state cagioni di molte rovine, ed hanno fatti gran danni a quegli che governano una citt, ed hanno causato di molte divisioni in quelle: e, come si veduto in questa nostra istoria, lo eccesso fatto contro a Lucrezia tolse lo stato ai Tarquinii; quell'altro, fatto contro a Virginia, priv i Dieci dell'autorit loro. Ed Aristotile, intra le prime cause che mette della rovina de' tiranni, lo avere ingiuriato altrui per conto delle donne, o con stuprarle, o con violarle, o con rompere i matrimonii; come di questa parte, nel capitolo dove noi trattamo delle congiure, largamente si parl. Dico, adunque, come i principi assoluti ed i governatori delle republiche non hanno a tenere poco conto di questa parte; ma debbono considerare i disordini che per tale accidente possono nascere, e rimediarvi in tempo che il rimedio non sia con danno e vituperio dello stato loro o della loro republica: come intervenne agli Ardeati; i quali, per avere lasciato crescere quella gara intra i loro cittadini, si condussero a dividersi infra loro; e, volendo riunirsi, ebbono a mandare per soccorsi esterni: il che uno grande principio d'una propinqua servit.

Ma veniamo allo altro notabile, del modo del riunire le citt; del quale nel futuro capitolo parlereno.

 

 

Capitolo 27

Come e' si ha ad unire una citt divisa; e come e' non vera

quella opinione, che, a tenere le citt, bisogni tenerle divise.

 

Per lo esemplo de' Consoli romani che riconciliorono insieme gli Ardeati, si nota il modo come si debbe comporre una citt divisa: il quale non altro, n altrimenti si debbe medicare, che ammazzare i capi de' tumulti, perch gli necessario pigliare uno de' tre modi: o ammazzargli, come feciono costoro; o rimuovergli della citt; o fare loro fare pace insieme, sotto oblighi di non si offendere. Di questi tre modi, questo ultimo pi dannoso, meno certo e pi inutile. Perch gli impossibile, dove sia corso assai sangue, o altre simili ingiurie, che una pace, fatta per forza, duri, riveggendosi ogni d insieme in viso; ed difficile che si astenghino dallo ingiuriare l'uno l'altro, potendo nascere infra loro ogni d, per la conversazione, nuove cagioni di querele.

Sopra che non si pu dare il migliore esemplo che la citt di Pistoia. Era divisa quella citt, come ancora, quindici anni sono, in Panciatichi e Cancellieri; ma allora era in sull'armi, ed oggi le ha posate. E dopo molte dispute infra loro vennono al sangue, alla rovina delle case, al predarsi la roba, e ad ogni altro termine di nimico. Ed i Fiorentini, che gli avevano a comporre, sempre vi usarono quel terzo modo; e sempre ne nacque maggiori tumulti e maggiori scandali: tanto che, stracchi, e' si venne al secondo modo, di rimuovere i capi delle parti; de' quali alcuni messono in prigione alcuni altri confinarono in vari luoghi: tanto che l'accordo fatto potette stare, ed stato infino a oggi. Ma sanza dubbio pi sicuro saria stato il primo. Ma perch simili esecuzioni hanno il grande ed il generoso, una republica debole non le sa fare, ed nne tanto discosto, che a fatica la si conduce al rimedio secondo. E questi sono di quegli errori che io dissi nel principio, che fanno i principi de' nostri tempi, che hanno a giudicare le cose grandi; perch doverrebbono volere udire come si sono governati coloro che hanno avuto a giudicare anticamente simili casi. Ma la debolezza de' presenti uomini, causata dalla debole educazione loro e dalla poca notizia delle cose, fa che si giudicano i giudicii antichi, parte inumani, parte impossibili. Ed hanno certe loro moderne opinioni, discosto al tutto dal vero, come quella che dicevano e' savi della nostra citt, un tempo fa: che bisognava tenere Pistoia con le parti, e Pisa con le fortezze; e non si avveggono, quanto l'una e l'altra di queste due cose inutile.

Io voglio lasciare le fortezze, perch di sopra ne parlamo a lungo; e voglio discorrere la inutilit che si trae del tenere le terre, che tu hai in governo, divise. In prima, egli impossibile che tu ti mantenga tutte a due quelle parti amiche, o principe o republica che le governi. Perch dalla natura dato agli uomini pigliare parte in qualunque cosa divisa, e piacergli pi questa che quella. Talch, avendo una parte di quella terra male contenta, fa che, la prima guerra che viene, te la perdi; perch gli impossibile guardare una citt che abbia e' nimici fuori e dentro. Se la una republica che la governi, non ci il pi bel modo a fare cattivi i tuoi cittadini ed a fare dividere la tua citt, che avere in governo una citt divisa; perch ciascuna parte cerca di avere favori, e ciascuna si fa amici con varie corruttele: talch ne nasce due grandissimi inconvenienti; l'uno, che tu non ti gli fai mai amici, per non gli potere governare bene, variando il governo spesso, ora con l'uno, ora con l'altro omore; l'altro, che tale studio di parte divide di necessit la tua republica. Ed il Biondo, parlando de' Fiorentini e de' Pistolesi, ne fa fede, dicendo: "Mentre che i Fiorentini disegnavono di riunire Pistoia, divisono s medesimi". Pertanto, si pu facilmente considerare il male che da questa divisione nasca.

Nel 1502, quando si perd Arezzo, e tutto Val di Tevere e Val di Chiana, occupatoci dai Vitelli e dal duca Valentino, venne un monsignor di Lant, mandato dal re di Francia a fare ristituire ai Fiorentini tutte quelle terre perdute; e trovando Lant in ogni castello uomini che, nel vicitarlo, dicevano che erano della parte di Marzocco, biasim assai questa divisione: dicendo, che, se in Francia uno di quegli sudditi del re dicesse di essere della parte del re, sarebbe gastigato, perch tale voce non significherebbe altro, se non che in quella terra fusse gente inimica del re, e quel re vuole che le terre tutte sieno sue amiche, unite e sanza parte. Ma tutti questi modi e queste opinioni diverse dalla verit, nascono dalla debolezza di chi signore; i quali, veggendo di non potere tenere gli stati con forza e con virt, si voltono a simili industrie: le quali qualche volta ne' tempi quieti giovano qualche cosa, ma, come e' vengono le avversit ed i tempi forti, le mostrano la fallacia loro.

 

 

Capitolo 28

Che si debbe por mente alle opere de' cittadini, perch molte volte

sotto una opera pia si nasconde uno principio di tirannide.

 

Essendo la citt di Roma aggravata dalla fame, e non bastando le provisioni publiche a cessarla, prese animo uno Spurio Melio, essendo assai ricco, secondo quegli tempi, di fare provisione privatamente di frumento, e pascerne col suo grado la plebe. Per la quale cosa, egli ebbe tanto concorso di popolo in suo favore, che il Senato, pensando all' inconveniente che di quella sua liberalit poteva nascere, per opprimerla avanti che la pigliasse pi forze, gli cre uno Dittatore addosso, e fecelo morire. Qui da notare, come molte volte le opere che paiono pie e da non le potere ragionevolmente dannare, diventono crudeli, e per una republica sono pericolosissime, quando le non siano a buona ora corrette. E per discorrere questa cosa pi particularmente, dico che una republica sanza i cittadini riputati non pu stare, n pu governarsi in alcuno modo bene. Dall'altro canto, la riputazione de' cittadini cagione della tirannide delle republiche. E volendo regolare questa cosa, bisogna ordinarsi talmente, che i cittadini siano riputati, di riputazione che giovi, e non nuoca, alla citt ed alla libert di quella. E per si debbe esaminare i modi con i quali e' pigliano riputazione; che sono in effetto due: o publici o privati. I modi publici sono, quando uno, consigliando bene, operando meglio, in beneficio comune, acquista riputazione. A questo onore si debba aprire la via ai cittadini, e preporre premii ed ai consigli ed alle opere, talch se ne abbiano ad onorare e sodisfare. E quando queste riputazioni, prese per queste vie, siano stiette e semplici, non saranno mai pericolose: ma quando le sono prese per vie private, che l'altro modo preallegato, sono pericolosissime ed in tutto nocive. Le vie private sono, faccendo beneficio a questo ed a quello altro privato, col prestargli danari, maritargli le figliuole, difenderlo dai magistrati, e faccendogli simili privati favori, i quali si fanno gli uomini partigiani, e danno animo, a chi cos favorito, di potere corrompere il publico e sforzare le leggi. Debbe, pertanto, una republica bene ordinata aprire le vie come detto, a chi cerca favori per vie publiche, e chiuderle a chi li cerca per vie private, come si vede che fece Roma perch in premio di chi operava bene per il publico, ordin i trionfi, e tutti gli altri onori che la dava ai suoi cittadini, ed in danno di chi sotto vari colori per vie private cercava di farsi grande, ordin l'accuse; e quando queste non bastassero, per essere accecato il popolo da una spezie di falso bene, ordin il Dittatore, il quale con il braccio regio facesse ritornare dentro al segno chi ne fosse uscito, come la fece per punire Spurio Melio. Ed una che di queste cose si lasci impunita, atta a rovinare una republica; perch difficilmente con quello esemplo si riduce dipoi in la vera via.

 

Capitolo 29

Che gli peccati de' popoli nascono dai principi.

 

Non si dolghino i principi di alcuno peccato che facciono i popoli ch'egli abbiano in governo; perch tali peccati conviene che naschino o per la sua negligenza, o per essere lui macchiato di simili errori. E chi discorrer i popoli che ne' nostri tempi sono stati tenuti pieni di ruberie e di simili peccati, vedr che sar al tutto nato da quegli che gli governavano, che erano di simile natura. La Romagna, innanzi che in quella fussono spenti da papa Alessandro VI quegli signori che la comandavano, era un esempio d'ogni sceleratissima vita, perch quivi si vedeva per ogni leggiere cagione seguire occisioni e rapine grandissime. Il che nasceva dalla tristitia di quelli principi; non dalla natura trista degli uomini, come loro dicevano. Perch, sendo quegli principi poveri, e volendo vivere da ricchi, erano necessitati volgersi a molte rapine, e quelle per vari modi usare. Ed intra l'altre disoneste vie che tenevano, e' facevano leggi, e proibivono alcuna azione; dipoi erano i primi che davano cagione della inosservanza di esse, n mai punivano gli inosservanti, se non poi, quando vedevano assai essere incorsi in simile pregiudizio; ed allora si voltavano alla punizione, non per zelo della legge fatta, ma per cupidit di riscuotere la pena. Donde nasceva molti inconvenienti, e sopra tutto, questo, che i popoli s'impoverivano, e non si correggevano; e quegli che erano impoveriti, s'ingegnavano, contro a' meno potenti di loro, prevalersi. Donde surgevano tutti quelli mali che di sopra si dicano, de' quali era cagione il principe. E che questo sia vero, lo mostra Tito Livio quando e' narra che, portando i Legati romani il dono della preda de' Veienti ad Apolline, furono presi da' corsali di Lipari in Sicilia, e condotti in quella terra: ed inteso Timasiteo, loro principe, che dono era questo, dove gli andava e chi lo mandava, si port, quantunque nato a Lipari, come uomo romano, e mostr al popolo quanto era impio occupare simile dono; tanto che, con il consenso dello universale, ne lasci andare i Legati con tutte le cose loro. E le parole dello istorico sono queste: "Timasitheus multitudinem religione implevit, quae semper regenti est similis". E Lorenzo de' Medici, a confermazione di questa sentenza, dice:

 

e quel che fa 'l signor, fanno poi molti;

ch nel signor son tutti gli occhi volti.

 

 

Capitolo 30

A uno cittadino che voglia nella sua republica fare di sua autorit

alcuna opera buona, necessario, prima, spegnere l'invidia:

 come, vedendo il nimico, si ha a ordinare la difesa d'una citt.

 

Intendendo il Senato romano come la Toscana tutta aveva fatto nuovo deletto per venire a' danni di Roma; e come i Latini e gli Ernici, stati per lo addietro amici del Popolo romano, si erano accostati con i Volsci, perpetui inimici di Roma; giudic questa guerra dovere essere pericolosa. E trovandosi Cammillo tribuno di potest consolare, pens che si potesse fare sanza creare il Dittatore, quando gli altri Tribuni suoi collegi volessono cedergli la somma dello imperio. Il che detti Tribuni fecero volontariamente: "Nec quicquam (dice Tito Livio) de maiestate sua detractum credebant, quod maiestati eius concessissent". Onde Cammillo, presa a parole questa ubbidienza, comand che si scrivesse tre eserciti. Del primo volle essere capo lui, per ire contro a' Toscani. Del secondo fece capo Quinto Servilio, il quale volle stesse propinquo a Roma, per ostare ai Latini ed agli Ernici, se si movessono. Al terzo esercito prepose Lucio Quinzio, il quale scrisse per tenere guardata la citt e difese le porte e la curia, in ogni caso che nascesse. Oltre a di questo, ordin che Orazio, uno de' suoi collegi, provedesse l'armi ed il frumento e l'altre cose che richieggono i tempi della guerra. Prepose Cornelio, ancora, suo collega, al Senato ed al publico consigli, acciocch potesse consigliare le azioni che giornalmente si avevano a fare ed esequire: in modo furono quegli Tribuni, in quelli tempi, per la salute della patria, disposti a comandare ed a ubbidire. Notasi per questo testo, quello che faccia uno uomo buono e savio, e di quanto bene sia cagione, e quanto utile e' possa fare alla sua patria, quando, mediante la sua bont e virt, egli ha spenta la invidia; la quale molte volte cagione che gli uomini non possono operare bene, non permettendo detta invidia che gli abbino quella autorit la quale necessaria avere nelle cose d'importanza. Spegnesi questa invidia in due modi. O per qualche accidente forte e difficile, dove ciascuno, veggendosi perire, posposta ogni ambizione, corre volontariamente ad ubbidire a colui che crede che con la sua virt lo possa liberare: come intervenne a Cammillo, il quale avendo dato di s tanti saggi di uomo eccellentissimo, ed essendo stato tre volte Dittatore, ed avendo amministrato sempre quel grado ad utile publico, e non a propria utilit aveva fatto che gli uomini non temevano della grandezza sua; e per esser tanto grande e tanto riputato, non stimavano cosa vergognosa essere inferiori a lui (e per dice Tito Livio saviamente quelle parole "Nec quicquam" ecc.) in un altro modo si spegne l'invidia quando, o per violenza o per ordine naturale, muoiono coloro che sono stati tuoi concorrenti nel venire a qualche riputazione ed a qualche grandezza; quali, veggendoti riputato pi di loro, impossibile che mai acquieschino, e stieno pazienti. E quando e' sono uomini che siano usi a vivere in una citt corrotta, dove la educazione non abbia fatto in loro alcuna bont, impossibile che per accidente alcuno, mai si ridichino; e per ottenere la voglia loro, e satisfare alla loro perversit d'animo sarebbero contenti vedere la rovina della loro patria. A vincere questa invidia non ci altro rimedio che la morte di coloro che l'hanno; e quando la fortuna tanto propizia a quell'uomo virtuoso, che si muoiano ordinariamente, diventa, sanza scandalo, glorioso, quando sanza ostacolo e sanza offesa e' pu mostrare la sua virt; ma quando e' non abbi questa ventura, gli conviene pensare per ogni via a torsegli dinanzi; e prima che e' facci cosa alcuna, gli bisogna tenere modi che vinca questa difficult. E chi legge la Bibbia sensatamente, vedr Mois essere stato forzato, a volere che le sue leggi e che i suoi ordini andassero innanzi, ad ammazzare infiniti uomini, i quali, non mossi da altro che dalla invidia, si opponevano a' disegni suoi. Questa necessit conosceva benissimo frate Girolamo Savonerola; conoscevala ancora Piero Soderini, gonfaloniere di Firenze. L'uno non potette vincerla, per non avere autorit a poterlo fare (che fu il frate), e per non essere inteso bene da coloro che lo seguitavano, che ne arebbero avuto autorit. Nonpertanto per lui non rimase, e le sue prediche sono piene di accuse de' savi del mondo e d'invettive contro a loro: perch chiamava cos questi invidi, e quegli che si opponevano agli ordini suoi. Quell'altro credeva, col tempo, con la bont, con la fortuna sua, col benificare alcuno, spegnere questa invidia; vedendosi di assai fresca et, e con tanti nuovi favori che gli arrecava el modo del suo procedere, che credeva potere superare quelli tanti che per invidia se gli opponevano, sanza alcuno scandolo, violenza e tumulto: e non sapeva che il tempo non si pu aspettare, la bont non basta, la fortuna varia, e la malignit non truova dono che la plachi. Tanto che l'uno e l'altro di questi due rovinarono, e la rovina loro fu causata da non avere saputo o potuto vincere questa invidia.

L'altro notabile l'ordine che Cammillo dette, dentro e fuori, per la salute di Roma. E veramente, non sanza cagione gli istorici buoni, come questo nostro, mettono particularmente e distintamente certi casi, acciocch i posteri imparino come gli abbino in simili accidenti difendersi. E debbesi in questo testo notare, che non la pi pericolosa n la pi inutile difesa, che quella che si fa tumultuariamente e sanza ordine. E questo si mostra per quello terzo esercito che Cammillo fece scrivere per lasciarlo, in Roma, a guardia della citt: perch molti arebbero giudicato e giudicherebbero questa parte superflua, sendo quel popolo, per l'ordinario, armato e bellicoso; e per questo, che non bisognasse di scriverlo altrimenti, ma bastasse farlo armare quando il bisogno venisse. Ma Cammillo, e qualunque fusse savio come era esso, la giudica altrimenti; perch non permette mai che una moltitudine pigli l'arme, se non con certo ordine e certo modo. E per, in su questo esemplo, uno che sia preposto a guardia d'una citt, debba fuggire come uno scoglio il fare armare gli uomini tumultuosamente; ma debba avere prima scritti e scelti quegli che voglia si armino, chi gli abbino ad ubbidire, dove a convenire, dove a andare; e, quegli che non sono scritti, comandare che stieno ciascuno alle case sue, a guardia di quelle. Coloro che terranno questo ordine in una citt assaltata, facilmente si potranno difendere: chi far altrimenti, non imiter Cammillo, e non si difender.

 

 

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1998 - by prof. Giuseppe Bonghi

data ultima modifica: 03 luglio, 2004